Pasolini sceglie di raccontare racconta il noir sociale e mette in
conto il disordine e in moto l'indifferenza morale che oggi non ha
ancora finito di far danni.
Caterina Giuseppa Buttitta
La Nebbiosa
IL SAGGIATORE
pagine: 209
€ 14,00
Il libro
Novembre 1959. Poco dopo l’uscita di Una vita violenta, Pier
Paolo Pasolini esplora Milano con la stessa furia, la stessa passione
con cui nei primi anni cinquanta aveva esplorato Roma: è la sorprendente
trasferta di un vorace aggressore di città, impaziente di
appropriarsele fisicamente e linguisticamente.
Accompagnato da alcuni giovani milanesi teppisti quanto basta,
Pasolini gira per trani, le vecchie bettole milanesi, e per bar
luccicanti di corso Buenos Aires, perlustra ritrovi di teddy boys e i
nights del centro; frequenta balere di periferia; si spinge a
Metanopoli; guarda da fuori le ville neoclassiche lambite
dall’espansione della città e si avventura nell’hinterland, tra Novate e
Bollate.
Nasce così La Nebbiosa, sceneggiatura non utilizzata dai
registi che la commissionarono e opera letteraria qui per la prima volta
edita integralmente, con la sequenza degli episodi rispondente alla
prima stesura scritta da Pier Paolo Pasolini.
La Nebbiosa è un noir picaresco e disperato ambientato a
Milano nella notte di capodanno. In cerca di avventure, il Gimkana, il
Teppa, il Rospo, il Contessa, Mosè e Toni rubano due auto e si mettono
per strada; nella chiesa di Bollate trafugano i gioielli alla statua
della Madonna: una lunga collana di pietre bianche, un’altra di pietre
nere, poi un’altra ancora, e una quarta, e il diadema, gli orecchini,
due tre braccialetti, due tre anelli, ma con i gioielli, falsi,
addobbano la regina delle barbone, una vecchia che cammina sola per
strada nella notte. Poi si precipitano a sconvolgere la borghesia
milanese infiacchita in una casa in periferia, trasformando la festa in
un’orgia.
È un’avventura, la loro, ma l’avventura finirà male. Sullo sfondo di
una skyline dominata da sagome di grattacieli, tra cui il Galfa e il
Pirelli, si susseguono le scene in un caleidoscopio di personaggi che
corrono insieme ai teddy boys: gli ubriachi nei trani che cantano da
spaccare i timpani, la fattucchiera pallida e profetica, la grassa
Nella, ex soubrette della compagnia di Macario, il maggiordomo dei
marchesi Valtorta che intrattiene la banda con vari travestimenti.
Con prepotenza − ma inesorabilmente, e a riprova di un ininterrotto dialogo a distanza − la Milano della Nebbiosa
appare come una variante della Milano di Giovanni Testori, che negli
stessi anni andava raccontando le periferie, i giovani, la malavita, gli
amori, il cinismo e insieme il lirismo che anima la realtà della Milano
popolare, vecchiotta, alle prese con tentazioni neocapitalistiche.
La Nebbiosa è la sceneggiatura di un film mai girato, ma è
anche l’inchiesta in presa diretta sui giovani milanesi del boom
economico. Il romanzo nero di una Milano disperata e violenta.
RECENSIONE
Pier Paolo Pasolini salì dalle borgate romane ai Navigli attratto dalla gioventù bruciata. Nella "La Nebbiosa": Pasolini parla di periferia e di teddy boy milanesi, intrisi di nebbia e nazionali senza filtro. Pasolini nella "Nebbiosa" edita dal Saggiatore, racconta una notte brava milanese (quella di San Silvestro). Pasolini voce temibile profetica del Novecento con scariche elettriche di attualità. E un modo tutto suo di <<riannodare i fili del passato, per poter tornare al presente>>. Pasolini conosceva i nomi dei colpevoli, lo scrisse in un articolo sul <<Corriere della Sera>>, si immerge nella Milano che fu, attento alle inflessioni di lingua e di linguaggio, con una milanesità che Pasolini, tutto borgate, aveva imparato durante un mese di full immersion nelle periferie della Milano 1960, l'epoca per intenderci di Rocco e i suoi fratelli, La Maria Brasca, L'Arialda, di La vita agra di Luciano Bianciardi, prendendo spunto da vite violentemente vere di ragazzi anche di buona famiglia.
Pasolini sceglie di raccontare racconta il noir sociale e mette in conto il disordine e in moto l'indifferenza morale che oggi non ha ancora finito di far danni.
Il libro sembra un thriller. Un'arancia meccanica nella nebbia milanese in cui spuntano vizi mai superati come l'omofobia contro il così detto "ambiguo" e i ragazzi galleggiano sulle rovine di una città in ri-costruzione. Il collega suona la batteria e insieme cambiamo sesso e costumi, indossando abiti alla Wanda Osiris o come due sciure di allora, ex ballerine di Macario, in cerca di emozioni in jeans.
Pasolini osserva inece neutrale ma ogni tanto sbotta in qualche laica minaccia da corteo tipo <<fascisti borghesi ancora pochi mesi>>, facendo annunciare che la classe dirigente è immersa nello sterco fino al collo. <<Chiaro che i ragazzi sono vittime del sistema, figli della società borghese per i quali fascismo, comunismo e democrazia sono tutti la stessa cosa>>. La Milano di allora dei grattacieli Pirelli <<mostra alcune impressionanti similitudini con quella di oggi. Vengono a galla due speranze tradite, due segnali di boom entrambi mal riposti ma, se andiamo a scavare, sotto si trova solo disperazione e solitudine>>. Pasolini insiste sul fronte immenso di una città tetra, faticoso presagio del giorno che nasce, atmosfera buia e gelata. Ci sono i lustrini ma sotto l'abbaglio troviamo paura e violenza. Nelle trasformazioni recita Pasolini io parto da un naturalismo corretto col grottesco, guardo al materiale umano ma non lo imito, lo faccio mio, cercandone la profondità, la verità e, quando possibile, la poesia per parlare a tutti e non solo agli addetti ai lavori>>. Interrogandosi come dare la salvezza all'uomo anche senza la fede. Ma è impossibile tollerare un testo dove l'uomo possa salvarsi da solo rinunciando all'Attesa, privato da ogni divina compassione, ma io credo sia quella che stiamo vivendo tutti i giorni. <<E' quel deserto metropolitano che già Pasolini poeta, aveva scorto nei suoi ultimi giorni. A noi resta oggi sempre il sacrosanto dovere di ribellarci>>.
Nessun commento:
Posta un commento