Il miglior tempo
«È come se per lui tutto il mondo fosse in allarme».
Una giovinezza in fuga e un maestro che non si arrende. Due generazioni si sfiorano: una ricca del tempo che ha vissuto, l'altra incapace di trovare un posto nel tempo, l'una inetta a trasmettere, l'altra incapace di ricevere. Fra l'una e l'altra, la vita che preme con grazia maldestra.
Il libro
Filippo «Cantor» Castelli è un ventenne che, vorticando fra tante incertezze, di un’unica cosa è sicuro: che non ha avuto maestri, che forse non ce ne sono. Anche se ne ha cercato uno nella vigile figura del dottor Romagnoli, un pediatra che ha lasciato la professione dopo la morte della moglie e che trova conforto nell’ascolto della musica di Schumann. Cantor abbandona tutto, anche la compagna Anna che porta in grembo un figlio suo: tutto abbandona per combattere da solo, romanticamente solo, con un candore che oscilla tra la santità dell’idiota e il narcisismo eroico del sacrificio. Tanto Cantor riceve luce dalla sua affaticata, furiosa innocenza, quanto Romagnoli, che pure è stato traghettatore di piccole vite verso l’età adulta, avverte l’incombere del buio, la memoria mutilata di sentimenti che non lo difendono piú.
RECENSIONE
Il nuovo romanzo di Alberto Rollo, Il miglior tempo, racconta una vicenda tormentata dei rapporti tra un anziano pediatra in pensione e u suo ex paziente nel frattempo diventato adulto ma che continua a frequentarlo perchè sempre in cerca di nuovi maestri, l'allegoria di un importante editor, quale Rollo è stato ed è, e delle sue relazioni con gli scrittori di cui ha contribuito a mettere al mondo l'opera?
L'allegoria è fuorviante? Filippo <<Cantor>> Castelli, rampollo di una ricca famiglia di notai ormai trentenne sempre in cerca di un'identità che lo conduca il pù lontano possibile dalla menzogna organizzata, identità ch egli identifica con la vicinanza agli ultimi, onde da medico si farà infermiere, poi carpentiere, poi volontario in cerca di migranti, braccianti, disperati combattenti curdi, non cessa di tenere al corrente delle sue imprese iniziate e mai finite il dottor Romagnoli, malinconico vedovo appassionato di musica con particolare predilezione per Robert Schumann.
Desidera insegnamento, e lo dichiara, ma non chiede nè consigli nè esempi, ch il suo ex pediatra/editor non è del resto in grado di dargli, così come gli altri personaggi che gli ruotano intorno attratti dal suo fascino, la compagna che aspetta un figlio da lui, la giovane senegalese ch sposa per un misto di attrazione e compassione, un avvocato pachistano attivista per l'integrazione e perfino il carismatico don Mario, regista di missioni umabitarie, che lo ha capito ma non gli dice mai che cosa ha capito, così come non lo dicono i capitoli alternati in cui Romagnoli narra in prima persona e quelli affidati a un narratore onniscente che ha accesso a tutto tranne che al segreto del protagonista.
Tutti stregati dall'eterno ragazzo, che per avere di più ricerca il meno, il dolore degli altri, la disperazione concreta capace di saziare finlmente la sua fame di ... Di che cosa?
Ogni ricerca ridurrebbe questa nostalgia dell'infinito che il dottor Romagnoli cura con Schumann e Cantor con lo stsato di minorità degli altri, i vicini, che tratta altezzosamente come Francesco fece un dì con Bernardone, e i lontani, il ragazzo morto in moto, i migranti, i combattenti senza via d'uscita, sempre accanto a loro, mai con loro. Come chiamarlo, infatti? Il senso della vita? L'espiazione? La rivoluzione del senso di colpa della generazione di Rollo? La trasmissione di esperienza tra generazioni?
Il mondo è ingiusto. All'autore, è toccto di non scrivere un romanzo consolatorio. L'apprendistato non avviene (e l'idea di fare dell<<adulto>> un pediatra è ben trovata), incarba l'epifania della salvezza. Particolari sono i personaggi principali, lo smanioso e il malinconico. Una leggera simpatia li rende talora fascinosi. Ci si identifica in ciò che hanno di peggio, l'indeterminato, quello che un tempo si chiamava anima bella. Ma le anim belle non hanno mai prodotto, che una società orrenda, dove esistono solo individui e il loro vuoto, e in cui fallisce anche l'amore: <<Posso dire solo che l'ho amato, e solo quando lo dico, vedo tutto quello che di lui è rimasto invisibile>>.
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