Amélie Nothomb
Primo sangue
traduzione di Federica Di Lella
Amazzoni2022, pp. 128, Brossura 14,5x20,5
€ 16,00
Il nuovo romanzo di Amelie Nothomb Primo Sangue è un omaggio alla figura del padre. Giovane console belga nel 1964 fu quasi fucilato dai ribelli congolesi. so che la mia vita dipende da quell'appuntamento mancato con la morte. Confessa Amélie Nothomb che il romanzo è un omaggio del padre. Orfano in una nobile famiglia decaduta, poi eroico diplomatico
nel Congo in rivolta: Patrick è il protagonista del nuovo libro della
scrittrice belga.Primo Sangue è una sorta di autobiografia del padre della scrittrice, il diplomatico belga Patrick Nothomb (1936-2020). Dopo aver vinto in Francia il prestigioso premio Renaudot, il romanzo arriva ora in Italia, pubblicato dalla Voland.Patrick Nothomb è morto di cancro il 17 marzo 2020, primo giorno del lockdown. La scrittrice non ha potuto dargli l'ultimo saluto. Il libro termina nel 1964, quando l'allora console Nothomb finisce davanti ad un plotone d'esecuzione dei ribelli congolesi a Stanleyville, oggi Kisangani.Perchè fermarsi al '64 e non raccontare il resto di quella vita straordinaria, per esempio l'esperienza giapponese che pure è citata in un suo romanzo di tanti anni fa, Metafisica dei tubi?Perc hè dopo che mio padre è scampato al plotone di esecuzione è nata la scrittirice.Ho voluto descrivere questo libro, precisa la Nothomb, per rendermi conto che la mia esperienza dipende interamente dal primo appuntamento mancato di mio padre con la morte. Dopo è nata lei, ma non ha voluto immaginare com'era prima.Perchè? Non si può raccontare tutto, precisa la Nothomb. Perchè ho voluto preservare i suoi segreti.La scena del plotone d'esecuzione è descritta con grande precisione: gli istanti che si dilatano, la percezione della bellezza del mondo ... Suo padre le ha mai parlato di questo? No. Mio padre era un uomo estremamente pudico, soprattutto riguardo i sentimenti. Era un uomo silenzioso. E allo stesso tempo era un uomo con un passato che vibra di emozioni.In ;Primo Sangue parla anche dell'anglofilia di sua nonna, che chiamava il figlio Paddy invece che Patrick. In certi ambienti dell'aristocrazia belga l'anglofilia era molto forte, durante la Seconda guerra mondiale ma anche fino agli anni Settanta. Il massimo dello chic era fingersi inglesi, mia nonna precisa la Nothomb, parlava francese con accento inglese.Ciò dipende dalla rivale Francia? C'è sempre un problema tra Belgio e Francia. Quindi all'epoca si preferiva parlare inglese.Davvero suo padre da piccolo ha sofferto la fame? Si. Quando papà andava in vacanza dai nonni paterni. Il barone Pierre Nothomb viveva in un castello ma non riusciva a mattere quasi nulla in tavola. E poi all'epoca erano gli adulti a mangiare per primi, poi per i bambini il piatto era vuoto.Quale idea del colonialismo le ha trasmesso suo padre? Papà lo detestava. Fu felice quando, ricevette come primo incarico da diplomatico la missione in Congo, che aveva da poco conquistato l'indipendenza. Ma si trovò a disagio durante la presa degli ostaggi dal (4 agosto al 24 novembre 1964), fino all'intervento dei paracadutisti belgi dell'operazione Dragone rosso decisa dal premier Paul-Henri Spaak. Il padre tratto per molto tempo per salvare la vita sua e di tutti gli altri ostaggi, sebben comprendeva le ragioni dei ribelli. Ha scritto un libro molto voluminoso su quella vicenda, il titolo è Dans Stanleyville, in cui spiega nei dettagli tutta la situazione politica in Congo. Interessante ma, privo di sentimento.L'apparente freddezza del padre l'ha fatta soffrire?No. Quando ero piccola non capivo.
Il castello di Pont d'Oye è una portentosa dimora del
Seicento, immensa facciata ocra e tetti d'ardesia, laghi e boschi delle
Ardenne belghe: proprietà, a partire dal 1932, del bisnonno di Amélie Nothomb.
"Ci sono sempre andata, in vacanza" dice la scrittrice, che vi ambienta
metà del suo ultimo romanzo; l'altra metà si svolge in Congo
nel 1964, all'epoca della rivolta dei Simba, "i leoni" in swahili ("no,
in Congo non sono mai stata"). Per un tratto siamo immessi nelle
eleganze dell'aristocrazia impoverita (desargentée, come si dice); per
metà nel cuore delle atrocità e le convulsioni del continente nero. Ma
conosciamo Amélie Nothomb, i passaggi sono lievi, tutto è giocoso, le
morti affabili, i destini onirici.
In questo trentesimo romanzo, e davvero uno dei suoi più belli, Primo sangue
(come sempre da Voland, 118 pagine tradotte con l'opportuna grazia da
Federica Di Lella) "tutto è vero", assicura Amélie: ma, album di
famiglia o grande storia, il suo talento ci tiene in gioco con l'ironia e
la freschezza, invischiati nella ragnatela inavvertita di alcuni temi
forti: la sindrome di Stoccolma, i bambini soli e i bambini soldati, il
bullismo e i delitti familiari, snobismo e colonie, e tanto altro
ancora.
Primo sangue ("i duelli" spiega Amélie, "possono essere
all'ultimo sangue, fino cioè alla morte di uno dei contendenti, o
fermarsi alla prima ferita") è la storia di suo padre, Patrick Nothomb,
che si racconta in prima persona. In apertura del romanzo, Patrick si
trova davanti a un plotone d'esecuzione. Amélie ha pensato a
Dostoevskij, condannato nel 1849, per sovversione, a una falsa
esecuzione nella Russia zarista, o all'incipit di Cent'anni di solitudine:
"Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello
Aureliano Buendía si sarebbe ricordato...". Anche Patrick ripassa tutta
la sua vita, perché in quel momento "ogni secondo dura un secolo più del
precedente". Ha 28 anni, è sollevato di non esser più "obbligato a
parlare". Inizia così, con questa frase enigmatica, il suo racconto.Dopo Sete, che ha sfiorato il Goncourt, questo Primo sangue
è il romanzo del freddo: ma presto saremo dirottati
nei climi dell'Africa equatoriale; e finalmente ci verranno chiariti i
termini di quel plotone d'esecuzione d'apertura, sempre più arcano: come
mai un ragazzo che a Bruxelles va alle feste in smoking può ritrovarsi
in quella situazione?
Prima Patrick dovrà trovar moglie, fungendo da Cyrano, a
scriver lettere d'amore per procura, per un compagno di studi: ma tutto è
doppio in Primo sangue non solo i climi, e il
ragazzo si ritrova al centro di un duplice inganno. Con due figli, e una
carriera diplomatica intrapresa, sembra, quasi per caso (ma poi sarà un
ambasciatore di qualità eminente, e Amélie non può che convenirne) il
giovane viene nominato, a soli 28 anni, console in una delle zone più
calde del pianeta, Stanleyville in Congo.
Oggi ribattezzata Kisangani, Stanleyville (Stanley era l'esploratore
gallese che pronunciò la famosa frase: "Il dottor Livingstone,
suppongo") è la prima città dell'est del Congo. L'ex colonia belga si
era appena (nel 1960) resa indipendente, quando una rivolta portò alla
più vasta presa di ostaggi della storia, 1500 bianchi. Furono
rapidamente radunati al Palace Hotel: tutti ammassati nella grande hall
dell'albergo. Patrick era tra loro, si qualificò come console belga, e
si propose come interlocutore. Da inizio agosto, parlò
ininterrottamente con i capi ribelli, garantendo la simpatia del Belgio
per le loro rivendicazioni, e il proprio orrore (effettivo) per il
colonialismo. Era "una versione moderna di Sheherazade": dalla sua
capacità di parlare dipendeva la vita dei compatrioti. Alle esecuzioni,
Patrick si interponeva: "Di lavoro fa lo scudo umano lei?", gli
chiedevano - ma erano i colloqui a essere defatiganti. Quando un
guerriero puntava l'arma su Patrick, gli altri lo fermavano: "Attento,
ai capi piace parlare con questo qui". I più pericolosi ovviamente erano
i bambini-soldato, e si crea un'eco con il bullismo dei ragazzini di
Pont-d'Oye.
Il castello di Pont d'Oye è una portentosa dimora del
Seicento, immensa facciata ocra e tetti d'ardesia, laghi e boschi delle
Ardenne belghe: proprietà, a partire dal 1932, del bisnonno di Amélie Nothomb
"Ci sono sempre andata, in vacanza" dice la scrittrice, che vi ambienta
metà del suo ultimo romanzo; l'altra metà si svolge in Congo
nel 1964, all'epoca della rivolta dei Simba, "i leoni" in swahili ("no,
in Congo non sono mai stata"). Per un tratto siamo immessi nelle
eleganze dell'aristocrazia impoverita (desargentée, come si dice); per
metà nel cuore delle atrocità e le convulsioni del continente nero. Ma
conosciamo Amélie Nothomb, i passaggi sono lievi, tutto è giocoso, le
morti affabili, i destini onirici.
In questo trentesimo romanzo, e davvero uno dei suoi più belli, Primo sangue
(come sempre da Voland, 118 pagine tradotte con l'opportuna grazia da
Federica Di Lella) "tutto è vero", assicura Amélie: ma, album di
famiglia o grande storia, il suo talento ci tiene in gioco con l'ironia e
la freschezza, invischiati nella ragnatela inavvertita di alcuni temi
forti: la sindrome di Stoccolma, i bambini soli e i bambini soldati, il
bullismo e i delitti familiari, snobismo e colonie, e tanto altro
ancora.
Primo sangue ("i duelli" spiega Amélie, "possono essere
all'ultimo sangue, fino cioè alla morte di uno dei contendenti, o
fermarsi alla prima ferita") è la storia di suo padre, Patrick Nothomb,
che si racconta in prima persona. In apertura del romanzo, Patrick si
trova davanti a un plotone d'esecuzione. Amélie ha pensato a
Dostoevskij, condannato nel 1849, per sovversione, a una falsa
esecuzione nella Russia zarista, o all'incipit di Cent'anni di solitudine
"Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello
Aureliano Buendía si sarebbe ricordato...". Anche Patrick ripassa tutta
la sua vita, perché in quel momento "ogni secondo dura un secolo più del
precedente". Ha 28 anni, è sollevato di non esser più "obbligato a
parlare". Inizia così, con questa frase enigmatica, il suo racconto.
Ha otto mesi quando il padre muore in un'operazione di
sminamento; la madre bellissima non intende consolarsi; il nonno invece è
un generale, e trova la morte del genero "qualcosa di perfettamente
accettabile" il piccolo verrà allevato dai nonni materni,
vestito da marinaretto. Un giorno quel paggetto coi boccoli sembra, al
generale, troppo delicato; e la cura c'è: mandarlo dal nonno paterno - i
Nothomb! - Mamma e nonna rabbrividiscono.
Pierre Nothomb vive a Pont-d'Oye, il castello dunque nelle Ardenne.
Un giardino straripante di rose selvatiche, una facciata piena di
finestre, e, sulla soglia, il barone. "Un giorno" dice al piccolo
"regnerai su questo castello", dove ogni stanza ha un nome, anche
l'unico bagno: il Trianon. Squisito, Pierre scrive poesie ("sarebbero
quelle cose da imparare a memoria, giusto?", si assicura Patrick), ha tredici figli, di cui cinque, di secondo letto, sono poco più grandi del nuovo arrivato
- si rivelano un'orda di Unni, magri, cenciosi, teppisti. Patrick,
vessato, è però estasiato di stare così in compagnia; in casa si mangia
poco o nulla (un po' la sventatezza del poeta, un po' la guerra). La
cuoca ha assassinato il marito - Amélie garantisce che, anche qui, "è tutto vero"
Il nonno l'aveva difesa in tribunale: "credo a tal punto all'innocenza
di questa donna" aveva perorato "che se la graziate la assumerò come
cuoca a casa mia" (e così era stato). I ragazzini dichiarano a Patrick
che le poesie del nonno fanno schifo e che ha già ucciso tre persone, la
prima moglie e due figlie, decedute di tubercolosi, cioè di freddo e di
stenti - di notte, d'inverno, scopre Patrick, i ragazzini passano la
notte in un dormitorio congelato, i grandi tutti insieme nella shtouf,
la stanza che permette di sopravvivere agli inverni nelle Ardenne,
uomini e animali ammassati; nel salone centrale dei Nothomb però i
cavalli non sono ammessi. "Esiste ancora, certo", conferma la
scrittrice).
L'ultima tentazione di Amélie Nothomb
Dopo Sete, che ha sfiorato il Goncourt, questo Primo sangue
(premio Renaudot) è il romanzo del freddo: ma presto saremo dirottati
nei climi dell'Africa equatoriale; e finalmente ci verranno chiariti i
termini di quel plotone d'esecuzione d'apertura, sempre più arcano: come
mai un ragazzo che a Bruxelles va alle feste in smoking può ritrovarsi
in quella situazione?
Prima Patrick dovrà trovar moglie, fungendo da Cyrano, a
scriver lettere d'amore per procura, per un compagno di studi: ma tutto è
doppio in Primo sangue, non solo i climi, e il
ragazzo si ritrova al centro di un duplice inganno. Con due figli, e una
carriera diplomatica intrapresa, sembra, quasi per caso (ma poi sarà un
ambasciatore di qualità eminente, e Amélie non può che convenirne) il
giovane viene nominato, a soli 28 anni, console in una delle zone più
calde del pianeta, Stanleyville in Congo.
Oggi ribattezzata Kisangani, Stanleyville (Stanley era l'esploratore
gallese che pronunciò la famosa frase: "Il dottor Livingstone,
suppongo") è la prima città dell'est del Congo. L'ex colonia belga si
era appena (nel 1960) resa indipendente, quando una rivolta portò alla
più vasta presa di ostaggi della storia, 1500 bianchi. Furono
rapidamente radunati al Palace Hotel: tutti ammassati nella grande hall
dell'albergo. Patrick era tra loro, si qualificò come console belga, e
si propose come interlocutore. Da inizio agosto, parlò
ininterrottamente con i capi ribelli, garantendo la simpatia del Belgio
per le loro rivendicazioni, e il proprio orrore (effettivo) per il
colonialismo. Era "una versione moderna di Sheherazade": dalla sua
capacità di parlare dipendeva la vita dei compatrioti. Alle esecuzioni,
Patrick si interponeva: "Di lavoro fa lo scudo umano lei?", gli
chiedevano - ma erano i colloqui a essere defatiganti. Quando un
guerriero puntava l'arma su Patrick, gli altri lo fermavano: "Attento,
ai capi piace parlare con questo qui". I più pericolosi ovviamente erano
i bambini-soldato, e si crea un'eco con il bullismo dei ragazzini di
Pont-d'Oye.
"Tutti i parallelismi sono intenzionali", tiene a precisare Amélie:
anche il confronto tra gli strani cibi belgi di guerra e quelli africani
degli ostaggi; non può mancare il tema della fame nella grande
scrittrice dell'anoressia. La Nothomb parla pure della sindrome di
Stoccolma; il padre ne faceva accenno in casa, ma mai in riferimento a
Stanleyville: "quando sei in trappola, e qualcuno ti picchia meno forte, scatta un amore terribile, con una componente di masochismo".
Patrick viene incarcerato, e un giorno è condannato a morte, col
plotone schierato davanti al monumento al liberatore del Congo Lumumba:
ma l'esecuzione, evidentemente, viene interrotta (non diremo da chi). Il
2 novembre del '64 sbarcarono i parà; i ribelli spararono sugli
ostaggi: nove su dieci si salvarono; tra loro, il console.
Amélie non era ancora nata. "Questo padre eroe" racconta, "l'ho perso
il 17 marzo 2020, primo giorno del confinamento; ero bloccata in
Francia, e non l'ho potuto salutare". Ora lo fa con la sua scrittura
squisita e divertente: "questa storia lui la raccontava così,
scherzando. Quando parlava: era un conversatore affascinante, ma in
famiglia parlava poco".
Ha otto mesi quando il padre muore in un'operazione di
sminamento; la madre bellissima non intende consolarsi; il nonno invece è
un generale, e trova la morte del genero "qualcosa di perfettamente
accettabile" il piccolo verrà allevato dai nonni materni,
vestito da marinaretto. Un giorno quel paggetto coi boccoli sembra, al
generale, troppo delicato; e la cura c'è: mandarlo dal nonno paterno - i
Nothomb! - Mamma e nonna rabbrividiscono.
Pierre Nothomb vive a Pont-d'Oye, il castello dunque nelle Ardenne.
Un giardino straripante di rose selvatiche, una facciata piena di
finestre, e, sulla soglia, il barone. "Un giorno" dice al piccolo
"regnerai su questo castello", dove ogni stanza ha un nome, anche
l'unico bagno: il Trianon. Squisito, Pierre scrive poesie ("sarebbero
quelle cose da imparare a memoria, giusto?", si assicura Patrick), ha tredici figli, di cui cinque, di secondo letto, sono poco più grandi del nuovo arrivato
- si rivelano un'orda di Unni, magri, cenciosi, teppisti. Patrick,
vessato, è però estasiato di stare così in compagnia; in casa si mangia
poco o nulla (un po' la sventatezza del poeta, un po' la guerra). La
cuoca ha assassinato il marito - Amélie garantisce che, anche qui, "è tutto vero".
Il nonno l'aveva difesa in tribunale: "credo a tal punto all'innocenza
di questa donna" aveva perorato "che se la graziate la assumerò come
cuoca a casa mia" (e così era stato). I ragazzini dichiarano a Patrick
che le poesie del nonno fanno schifo e che ha già ucciso tre persone, la
prima moglie e due figlie, decedute di tubercolosi, cioè di freddo e di
stenti - di notte, d'inverno, scopre Patrick, i ragazzini passano la
notte in un dormitorio congelato, i grandi tutti insieme nella shtouf,
la stanza che permette di sopravvivere agli inverni nelle Ardenne,
uomini e animali ammassati; nel salone centrale dei Nothomb però i
cavalli non sono ammessi. "Esiste ancora, certo", conferma la
scrittrice). Con una elegante scrittura, precisa e poetica,i
cappelli a cilindro non le vanno più: «Con la mascherina nera sembro
Zorro, ma a 54 anni suonati». Così si accontenta dell’eleganza della sua
scrittura, precisa e poetica come un kimono, di una chiarezza quasi
aritmetica. Porta in dote Primo Sangue, Voland, trentesimo libro della baronessa belga che è anche la scrittrice di lingua francese più venduta al mondo:
ogni anno, un romanzo, l’ultimo dedicato al padre Patrick, ex
diplomatico-eroe che nel 1964 ha salvato 1450 ostaggi in Congo dopo 4
mesi di trattative coi ribelli e un incontro molto lucido con il plotone
d’esecuzione. «Se l’è portato via a 83 anni un infarto il primo giorno
del lockdown, io ero a Parigi, lui a Bruxelles, non ho potuto neanche
salutarlo al funerale. Però continuava a parlarmi ogni giorno e mi
chiedevo perché non trovasse pace». Citazioni del libro"Infanzia, giovinezza, matrimonio e primo incarico diplomatico di Patrick
Nothomb, rampollo di una delle più influenti famiglie del Belgio. Fra
una madre troppo presto vedova, dei nonni a dir poco bizz"Mi portano davanti al plotone di esecuzione. Il tempo si dilata, ogni secondo dura un secolo più del precedente. Ho ventotto anni.
Di fronte a me, la morte ha la faccia di dodici fucilieri. La
consuetudine vuole che una delle armi sia caricata salve.così che ognuno
possa ritenersi innocente dell’omicidio che sta per essere
perpetrato.dubito che oggi quella tradizione sia stata rispettata.
Nessuno di questi uomini sembra aver bisogno di una possibilità di
innocenza.""Sopravvivere all’infanzia restava un esperienza darwiniana per i figli di Pierre Nothomb.""Nonostante il bagno di sangue, Patrick Nothomb non svenne. Mai
sottovalutare l’istinto di sopravvivenza. Come nove ostaggi su dieci, fu
annoverato tra i superstiti."
Il libro
Infanzia, giovinezza, matrimonio e primo
incarico diplomatico di Patrick Nothomb,
rampollo di una delle più influenti famiglie
del Belgio. Fra una madre troppo presto
vedova, dei nonni a dir poco bizzarri e una
banda di zii quasi coetanei, il piccolo
Patrick si impegna a diventare uomo...
Pagine sorprendenti di una storia familiare
che ogni lettore divorerà con commozione
e divertimento.
Nata a Kobe, Giappone, nel 1967 da genitori
diplomatici, oggi vive
tra Bruxelles e Parigi.
Scrittrice di culto non solo
in Francia – dove ha esordito nel 1992 con Igiene
dell’assassino, il romanzo che l’ha subito imposta –
pubblica un libro l’anno, scalando a ogni uscita
le classifiche di vendita.
Innumerevoli
gli adattamenti cinematografici e teatrali ispirati
ai suoi romanzi e i premi letterari vinti, tra cui
il Grand Prix du roman de l’Académie Française
e il Prix Internet du Livre per Stupore e tremori,
il Prix de Flore per Né di Eva né di Adamo,
e due volte il Prix du Jury Jean Giono
per Le Catilinarie e Causa di forza maggiore.
Sete, uscito in Francia nel 2019, è arrivato secondo
al Prix Goncourt dello stesso anno.
Primo sangue, suo trentesimo romanzo, si è aggiudicato il Prix Renaudot 2021 e il Premio Strega Europeo 2022.
Tutti i suoi
libri sono pubblicati in Italia da Voland.
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