L'amore e altri luoghi impossibili
by
Ayelet Waldman (Goodreads Author),
Cinzia Antonioli (Translator )
Editore: RL Libri (26 maggio 2011)
Acquistato su Amazon
Copertina flessibile: 336 pagine
Euro 10,00
Il Libro
A Central Park, ci sono angoli che Emilia Greenleaf attraversa a occhi
bassi, col passo svelto di chi vorrebbe essere già lontano; sono quei
luoghi impossibili fatti di scivoli e altalene, bambini allegri e mamme
sorridenti. Emilia non può più avere nulla di tutto questo: la sua
bambina se n'è andata per sempre, e a lei non restano che i cocci
taglienti dell'amore perduto, e una rabbia che prende tutto lo spazio. A
farne le spese è il piccolo William, cinque anni, figlio di suo marito -
un bambino saputello e indisponente, con una straordinaria capacità di
portare alla disperazione la sua nuova "mamma". Costruire un rapporto
con lui ha tutta l'aria di un'impresa senza speranza, tanto più che
William ha un difetto imperdonabile: non potrà mai sostituire la figlia
che Emilia ha perduto. Eppure, a volte l'amore e la felicità si
nascondono nei luoghi e nelle persone più insospettabili: e sarà proprio
attraverso William, in fondo nient'altro che un bambino in cerca
d'affetto, che il destino offrirà a Emilia un'altra possibilità di
provare amore. Con spiazzante sincerità, Ayelet Waldman - la scrittrice
che diede scandalo dichiarando di amare il marito più dei suoi figli -
esplora in questo coraggioso romanzo le sfumature più intime e segrete
dell'amore materno e dell'animo femminile. Parlandoci con straordinaria
lucidità del dolore, della fragilità, delle inconfessabili paure di una
madre.
RECENSIONE
Io e lui eravamo sposati da un paio d'anni. Anche noi, come ogni giovane coppia, avevamo dovuto affrontare i problemi e le tribolazioni tipiche di chi abbia decsìiso di mettere su famigli, ma fino a quel momento avevamo avuto la fortuna di non essere stati costretti ad affrontare situazioni veramente tristi. Non avevamo tempo di fermarci a pensare alla felicità che vivevamo. Eravamo felici. Punto e basta.
Quando mi volto a guardare indietro, provo inevitabilmente un senso di meravigliato stupore pensando a quell'epoca così allegra e spensierata. Ci bastava sentirci uniti per essere felici. Giusto allora, avevamo la precisa sensazioneche stessimo mettendo radici, che il mènage familiare funzionasse su basi quanto mai promettenti, che avessimo appena iniziato a godere appieno la nostra vita insieme. Eravamo così innocenti, così ingenui, così ... normali.
Non potrò mai dimenticare lo sbigotimento che provai quando mi dissero che mio figlio aveva i giorni contati. Com'era possibile? Non aveva mai guidato l'automobile. Non aveva mai partecipato a un ballo studentesco. Non aveva mai tenuto in braccio un figlio suo. Tutte gioie che gli sarebbero state negate.
Da sempre la morte era una di quelle realtà che consideravo estranee. All'improvviso, invece, era diventata un problema personale. Le parile del medico sembravano lontane, coperte com'erano, da un ronzio assordante che mi otturava le orecchie.
Per un attimo ebbi la sensazione che la terra avesse smesso di girare. Ricordo che mi venne fatto di pensare quanto era strano che il resto del mondo procedesse sui binari di sempre come se niente fosse. La gente continuava a ridere o a preoccuparsi di problemi che ai miei occhi erano diventati fucili.
Quando si viene a sapere che una persona amata è condannata a morte è come se il tempo si fermasse. Quando poi l'orologio riprende a ticchettare, il mondo sembra totalmente stravolto. La nostra voce sembra quella di un estraneo.
Nei giorni, e nelle settimane che seguono, situazioni che prima ci si paravano dinnanzi secondo un certo filo logico, ci attaccano di fianco, prendendoci alla sprovvista.
Quando poi la persona condannata a morte è nostro figlio, intuiamo subito che non riusciremo mai a riprenderci da un colpo così duro. Che le cose non saranno più le stesse. E che il dolore di quella perdita è destinato a roderci il cuore per sempre.
La gente è preparata alla morte di una persona anziana. Mai a quella di un bambino, per la semplice ragione che ci sembra un evento molto più... ingiusto. Sulle prime ci si aspetta che accada un miracolo. Un errore diagnostico. La scoperta di una cura efficace. Un cancellino magico creato da Dio per annullare il verdetto.
Alla fine, però, toccò proprio a Emilia ricordarci che a salvarlo non sarebbero stati nè i miracoli nè le magie. Che aveva i giorni contati. E quando sarebbe stato il momento, senza di noi. Giacchè, per quanto fossi decisa a prenderlo per mano per accompagnarlo fino all'ultima soglia, a quel punto non avrei potuto fare altro che muovere un passo indietro, e lasciarlo solo.
Credo che questo sia il compito più arduo che un genitore sia chiamato ad affrontare: preparare un figlio a morire e dargli il permesso di non tornar più indietro. Ma, fino a quando non fosse arrivato quel momento, ero decisa a fare in modo che la nostra famiglia accompagnasse passo dopo passo nel suo viaggio breve ma quanto prezioso.
Com'è possibile aiutare una persona amata a morire? Come avrei fatto io, mamma, a trovar la forza di perdere il mio bambino? Mi tornarono alla mente i versi di inno che avevamo l'abitudine di cantare tutti insieme quando ci trovavamo tra le mura domestiche. Mio figlio li conosceva a memoria e li cantava sempre con voce stentorea:<<Le famiglie vivno in eterno>>.
Dopo il matrimonio mi ero resa maggiormente conto di quanto fosse importante poter contare sull'appoggio di tutta la famiglia, sia nei momenti di gioia che in quelli di dolore. Le famiglie d'origine, almeno nei casi in cui siano molto unite, rappresentano delle fondamenta quanto mai solide per quelle appena costituite. Il mio sogno era creare una situazione in tutto simile per la mia famiglia.
Mi tormentava il pensiero che il piccolo non avrebbe retto a lungo una situazione del genere. Ero fermamente decisa a far di tutto perchè guarisse al più presto. Ma quando arrivammo in ospedale, mi sentivo impotente, oltre che impaurita. Mio figlio s'era chiuso nel mutismo. Non mi ci volle molto a capire che era spaventato come mai in vita sua.
Avevo bisogno di toccarlo. Di sentire il calore del suo respiro, di sentir la sua voce mentre mi chiamava mamma, di vedere il suo corpo adagiato sul letto. Vivevo la stessa sensazione di urgenza che avevo già conosciuo al momento della nascità, l'urgenza di toccarlo e di guardarlo per assicurarmi che fosse integro, oltre che vivo. Per un attimo mi sedetti sul letto accanto a lui. "Oh, bimbo mio, perchè è toccato proprio a te?"
Improvvisamente mi tornò in mente la possibilità di perdere un figlio. Non avrei sopportato, sarei impazzita, avrei preferito di gran lunga che la morte ghermisse me piuttosto che lui. A quel punto il mio timore si era trasformato in realtà. L'incubo, il più tremendo degli incubi, era lì, davanti a me.
Per quanto forte fosse la nostra fede, se la considero a posteriori non posso fare a meno di riconoscere che era del tutto teorica. E' vero che avevo cercato di prepararmi mentalmente e spiritualmente ma è altrettanto vero che non riusciì a far lo stesso sul piano emotivo. Del resto come avrebbe potuto esser diversamente? Impossibile illudersi che la vita possa prepararci alla morte. Se non dal punto di vista teorico. Anche se ero sicura della saldezza e della profondità della nostra fede, una volta arrivati al dunque tornavo a esser solo un genitore che rifiutava con tutte le forze l'idea che il suo bambino la lasciasse presto.
<<Devo fare qualcosa. Senza perder tempo. Altrimenti rischio di perderlo. Non me la sento di starmene con le mani in mano mentre mio figlio si sta spegnendo come una candela. Proprio non ci sto.>>
Il tempo libero e l'amore sono gli ingredienti fondamentali perchè si instauri un rapporto profondo tra una donna e un bimbo. Non avevo dubbi sul fatto che avrei amato anche il bimbo di mio marito, era una cosa che mi sentivo dentro. Ma che me ne avrebbe dato il tempo? Come avrei fatto a trovare il tempo necessario per sviluppare un'intesa con il mio nuovo figlio? Dove avrei trovato l'energia? Negli ultimi mesi avevo la sensazione di trascinarmi in giro in un perenne stato di spossatezza. Sapevo che la mia stanchezza andava addebitata al sonno insufficiente, ma sapevo anche di essermi emotivamente ridotta al lumicino nel tentativo di offrire al piccolo William, il sostegno fisico e morale di cui aveva bisogno. Ogni santo giorno.
I tristi pensieri, l'esercito dei miei timori, mi assalivano di una perdita che diventava sempre più certa man mano che passavano i giorni, mi aveva trasformata radicalmente. Non ero più la giovane donna che aveva passeggiato come in sogno in quel giardino fiorito. Ormai ero una donna, sia pure ancora ricca di speranze, che però aveva conosciuto il dolore, quello autentico.
Non potevo domandare più a nessuno il controllo della mia vita. Ma, ancora, più tremendo era il pensiero di accettare la realtà della sua morte. Mi dicevo: accetta ogni attimo che passi con lui e goditelo finchè puoi. Però non pensare di poterlo trattenere. Non cullarti nell'illusione che questa situazione possa durare all'infinito.
<<Tutto quello che volevo era una famiglia felice. Non credo di aver chiesto la luna. Insomma non mi sono mai sognata di pretendere altro. Invece, adesso, è tutto così complicato. Ma Emilia non è una donna tranquilla, nella sua vita la luce si è spenta. Solo nel figlio del marito, William vi legge un segno del destino: quel piccolo monello è il figlio che non potrò mai avere. Nella lotta senza esclusione di colpi lei dovrà fare i conti con l'orgoglio ritrovato di una donna e con la variabile del cuore.
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