L'infinito, composto a Recanati nel 1819, trova la sua base in una considerazione centrale nel pensiero filosofico del Leopardi e che egli stesso poi espliciterà in un appunto dello Zibaldone (una specie di diario che egli teneva) del luglio 1820: l'uomo cerca il piacere infinito e quindi abitualmente <<odia tutto quello che confina le sue sensazioni>>; tuttavia ci sono delle situzioni in cui <<l'anima desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata>>perchè <<allora in luogo della vista, lavora l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale>>.
In altri termini, il confine, ciò che impedisce all'uomo di vedere al di là, come in questo caso la siepe, stimola in lui il desiderio di quell'infinito che egli non può percepire con i sensi e gli permette di immaginarlo, di costruirselo nella sua mente, dandogli così profondo piacere.
Come spesso in Leopardi, il tema della poesia può apparire quello di un'arida riflessione filosofica: ma in questo idillio il rapporto perfetto che si stabilisce tra significante e significato permette al lettore di sperimentare egli stesso, attraverso la suggestione dei ritmi, delle allitterazioni, del lessico <<indefinito>> l'esperienza del contrasto tra finito ed indefinito, tra ciò che è noto e ben definito e ciò che è ignoto e vago, non semplicemente di "comprenderla" in termini intellettuali.
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