sabato 9 luglio 2022

I RIFUGIATI. COSA SIAMO RIUSCITI A FARE DALLA PARTE DEL GIUSTO E DEL VERO?

"Una piena, un fiume che esonda, si porta via molte cose, anche con forza e dolore, e lascia dietro di sé un paesaggio diverso, ridisegnato."

 


E la nostalgia e la difficoltà di vivere nella propria Patria, a quello trovato e vissuto nel resto del mondo (Italia, America,  ecc.), raccontando esistenze dissipate per liberarsi del peso del passato e delle persecuzioni razziali. 

Con quella sua vita incalzante, diretta, sempre in bilico tra comprensione umana e un filo di ironia, sapiente nelle notazioni di sfuggita e nel cogliere psicologie e caratteri, in cui si riverbera tutto un mondo che alla fine conosciamo come lo avessimo vissuto.

''I rifugiati hanno un'idea vaga della catastrofe, finché non se la trovano davanti'' e retorica, di eroi dalle parole alate, ''invece nella catastrofe non è possibile alcuna postura, alcuna grandezza. E' eroe chi sopravvive a quel momento (viaggio sul barcone), chi lo conserva e continua a vivere. Farsi custodi del mondo di prima è già abbastanza per una vita mortale''. Solo così si riuscirà a ritrovare se stessi, a capire quali sono le cose che contano, i sentimenti veri con le persone e il rapporto col mondo e la natura. Passati i giorni terribili, trovandosi in mezzo alla ''lotta tra gli dei e gli uomini'', ci si scopre ''custodi del tempo, che lo cerchiamo nella sabbia della clessidra... Senza gli uomini il tempo non esiste, invece noi non esistiamo che nel tempo''. E allora, tra le tre parche che tessono il filo della nostra vita, è quella di mezzo a interessare chi non vuole abbandonarsi al destino di immigrati  e cerca di prendere in mano il proprio, come un giorno prenderà in mano il comando della ''Fortuna'' (propria vita, destino).

C'è così la vita quotidiana di un rifugiato che si scontra con la nostra, con questo ordine fatto di equilibrio, ambizione, doveri e piaceri, proprio quando sembra le cose vadano per il meglio, i desideri si possano avverare, l'imponderabile, la furia della natura cambia tutto e ti lascia disfatto, solo, senza nemmeno un corpo su cui piangere. E tutto vive nella grande, apparentemente naturale misura.

Allora la figura d iun rifugiato con anche ovviamente la sua vita privata, che viene fuori dalla chiara visione quotidiana ha la sua forza in una misura di umanità, di verità, tra incertezze e capacità reali, tra fare i conti col passato e andare avanti come si deve.

Questa generazone di rifugiati raccontata nei fatti, sapendo che ''noi siamo esattamente la nostra sorte e non è che ce la possiamo togliere di dosso quando non ci sta più bene come la maschera alla fine della tragedia."

Giornate trascorse nella nebbia e davanti al nulla, che difendono ma anche limitano, annullano la realtà e spingono all'illusione, a incontri fantasmatici per trovare un po' di sicurezza, come quello di rifugiati operai a contraltare con quello con il "generale/caporalato", che non firma per l'espulsione per principio, ma è contento che i lavori creino protezione al paese.

''E' questa illusione a permetterci di pensare che non tutto è stato inutile nel mondo che abbiamo conosciuto, negli anni che abbiamo vissuto, in quel poco che siamo riusciti a fare dalla parte del giusto e del vero e, soprattutto, a riscattarci'', magari riuscendo così a trasmettere qualcosa alle nuove generazioni ''che si trovano davanti una realtà degradata cui dovranno pure adattarsi''. 

Punto di riferimento essenziale per la propria maturazione  è la "memoria"di rifugiati morti che avrebbero potuto fare e dare molto ancora, la cui memoria è importante, perché è solo sapendo e riconoscendo che i morti sono presenti, sono tra noi, che le loro idee e il loro operato continuerà a vivere.

''E' questa illusione a permetterci di pensare che non tutto è stato inutile nel mondo che abbiamo conosciuto, negli anni che abbiamo vissuto, in quel poco che siamo riusciti a fare dalla parte del giusto e del vero e, soprattutto, a riscattarci'', magari riuscendo così a trasmettere qualcosa alle nuove generazioni ''che si trovano davanti una realtà degradata cui dovranno pure adattarsi''.

Sono tutti momenti per una nota affettuosa, un ricordo significativo, una notazione che arricchisce il bilancio, libero, personale, vivace, impegnato, di tutta un'epoca, così che su ognuno dei rifugiati, qui dei ritratti (riviste, internet, ecc.),  lì degli articoli, c'è qualcosa su cui riflettere, qualcosa, perché no, da imparare, almeno nel porsi davanti alla vita che ci è stata offerta. 

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