IO GUARDO QUESTA UMANITA' IN MOVIMENTO.
IL VIAGGIO E' SEMPRE UNO STRAPPO.
Caterina Giuseppa Buttitta
Partire e restare sono i due poli della storia dell'umanità. Al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare, edificando un altro senso dei luoghi e di se stessi. Restanza significa sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente.
La restanzaEINAUDI2022
Vele
pp. 168
€ 13,00 Generi
Politica e Società
»
Studi interdisciplinari e culturali
»
Sociologia e Antropologia
»
Antropologia sociale e culturale, etnografia
Collana
Vele
Pubblicato
26/04/2022
Il libro
La
«restanza» è un fenomeno del presente che riguarda la necessità, il
desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi. È questo un
tempo segnato dalle migrazioni, ma è anche il tempo, piú silenzioso, di
chi “resta” nel suo luogo di origine e lo vive, lo cammina, lo
interpreta, in una vertigine continua di cambiamenti. La pandemia,
l’emergenza climatica, le grandi migrazioni sembra stiano modificando il
nostro rapporto con il corpo, con lo spazio, con la morte, con gli
altri, e pongono l’esigenza di immaginare nuove comunità, impongono a
chi parte e a chi resta nuove pratiche dell’abitare. Sono oggi molte le
narrazioni, spesso retoriche e senza profondità, che idealizzano la vita
nei piccoli paesi, rimuovendone, insieme alla durezza, le pratiche di
memoria e di speranza di chi ha voluto o ha dovuto rimanere. La restanza
non riguarda soltanto i piccoli paesi, ma anche le città, le metropoli,
le periferie. Se problematicamente assunta, non è una scelta di comodo o
attesa di qualcosa, né apatia, né vocazione a contemplare la fine dei
luoghi, ma è un processo dinamico e creativo, conflittuale, ma
potenzialmente rigenerativo tanto del luogo abitato, quanto per coloro
che restano ad abitarlo.
Collana Vele
Pubblicato 26/04/2022
Il libro
La «restanza» è un fenomeno del presente che riguarda la necessità, il desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi. È questo un tempo segnato dalle migrazioni, ma è anche il tempo, piú silenzioso, di chi “resta” nel suo luogo di origine e lo vive, lo cammina, lo interpreta, in una vertigine continua di cambiamenti. La pandemia, l’emergenza climatica, le grandi migrazioni sembra stiano modificando il nostro rapporto con il corpo, con lo spazio, con la morte, con gli altri, e pongono l’esigenza di immaginare nuove comunità, impongono a chi parte e a chi resta nuove pratiche dell’abitare. Sono oggi molte le narrazioni, spesso retoriche e senza profondità, che idealizzano la vita nei piccoli paesi, rimuovendone, insieme alla durezza, le pratiche di memoria e di speranza di chi ha voluto o ha dovuto rimanere. La restanza non riguarda soltanto i piccoli paesi, ma anche le città, le metropoli, le periferie. Se problematicamente assunta, non è una scelta di comodo o attesa di qualcosa, né apatia, né vocazione a contemplare la fine dei luoghi, ma è un processo dinamico e creativo, conflittuale, ma potenzialmente rigenerativo tanto del luogo abitato, quanto per coloro che restano ad abitarlo.
Nessun commento:
Posta un commento