Narrazioni nel segno della fragilità
Frammenti che affondano nel vissuto e nella realtà quotidiana. La fragilità di ciò che appare come assoluto, e la serenità di esserne consapevoli.
«La fragilità di ogni cosa: perché tutto, sempre, può crollare, da un momento all'altro. Tutto può venire giù, sempre».
O sai cos'è la “fragilità”, ragazzo mio, o sei perduto nel 2022.
Caterina Giuseppa Buttitta
Narratori stranieri
Effimeri
Andrew O’Hagan
BOMPIANI
Traduttore: Marco Drago
In libreria da Marzo 2022
Pagine 288 -- Euro 18,00
Il libro
“Dicono che a diciotto anni non sai niente. Ma ci sono cose che sai a diciotto anni e che non saprai mai più.” Glasgow, estate 1986. Tra il carismatico Tully e il sensibile James, detto Noodles, c’è un legame fortissimo, un’amicizia fondata sulla musica, sui film, su un comune, luminoso spirito ribelle. Insieme agli amici Tibbs, Limbo e Hogg partono per un finesettimana destinato a non tradire le attese: andranno a Manchester, dove ci sono negozi di dischi, locali, un festival da leggenda, musica dappertutto (e alcol, e altro). Sono anni lividi, il grande sciopero dei minatori è un ricordo recente, vivere in provincia vuol dire rischiare di non andarsene mai. James, che ama i libri, e Tully, operaio saldatore, si promettono una cosa: che la loro vita sarà diversa. Trent’anni dopo squilla il telefono a casa di James. Tully deve parlargli. È malato, di una malattia inguaribile, chiede il suo aiuto per andarsene con dignità. Solo James può accompagnarlo lungo la strada più difficile. Un romanzo di memoria e verità, un tributo alla leggerezza dell’essere giovani e alla capacità di cambiare insieme, scoprendo le gioie e il prezzo dell’affetto quando è vero.
RECENSIONE
Uno sguardo che riesce a posarsi sulle cose come se potesse godere di un campo di osservazione privilegiato, come “da una stanza buia” verso la luce, lo fa notare Andrew O'Hagan in Effimeri, la capacità di fissare le situazioni attraverso l'illuminazione di un piccolo gesto, di un tic; il gusto per certi giochi o cortocircuiti verbali; l'espressione di un'inquietudine dell'io – vuoi in forma di straniamento o di malinconia, oppure di nostalgia verso un altrove effettivamente vissuto o anche solo vagheggiato.
La luce dell'adolescenza
Tutto questo è verissimo anche nel suo alludere all'adolescenza vista da lontano, o meglio da un fuori, anziché da un “in”, da un dentro inclusivo. È come se, ancora una volta, Andrew O'Hagan avesse trovato un angolo speciale di osservazione sul mondo e sulla vita: qui la luce verso cui il suo sguardo si dirige è appunto l'adolescenza, ed è in questa luce che si svolgono le scene. Lo scrittore è l'osservatore, ma è anche l'osservato: a comparire nei quadri di descrizione sono i suoi figli, ma è anche lui stesso. E non solo: con lui, con loro, è come se comparisse un'intera costellazione di presenze, di ricordi, di assenze. È come se O'Hagan scrivesse da un avvenire già sognato e chiamasse a raccolta, davanti a sé, tutto ciò che ha lasciato un segno e tutti coloro che all'interno di questo avvenire hanno lasciato una traccia.Nella prima traccia sembra proprio lui, quindi, il bambino che affronta il fiume in piena della fedeltà invisibile nella vita, e sembra quasi che i versi gli si rivolgano come fosse un altro, come se si trattasse di un “tu” o un “lui” diversi dal loro autore: “Giovani le cui speranze di riscatto, politico e culturale, neanche la morte può arrestare, in un pomeriggio d'estate, e di calore./Solo con la coscienza divisa tra ribellione e sottomissione, tra sfuggire aldegrado ed erotizzarlo, tra amare ed essere amati/ e le sue leggi/quel ragazzo passava ore e ore/per superare il numero di colpi prefissato:/non allegro, ma assorto,/completamente dedito allo scopo assegnato” – salvo poi rivelarsi finalmente in un “io” nei versi conclusivi: “Era un acconto di felicità, o conforto/verso il futuro, verso i giorni avversi. Forse per questo, adesso, scrivo versi”. Altrove è il figlio, dichiaratamente.
Altre volte ancora è il ragazzo, o un amico, o un poeta/cantante amato. Altre volte ancora, infine, non compare nessuno – e sembra, in questi casi, che l'osservatore sia quello stesso ragazzo/adolescente che guarda il mondo stretto in una tale morsa di angoscia che pareva sul punto di morire. Ora cresciuto e disincantato. I versi sfumano allora in riflessioni vere e proprie, in pensieri, in analisi dai toni più disparati. Tanto elegiaci in certe pagine, quanto ironici o perfino caustici in altre. La malinconia, forse, quale tono predominante.
La malinconia
La verità è che Effimeri è una raccolta difficilmente riducibile ad unum. È un romanzo nel quale convivono molti registri. Però forse il registro predominante è quello della malinconia: ma neppure questa tutto sommato è una novità. Al fondo, quello che sentiamo scorrere è un senso di struggimento, perché, per quanto il nostro sguardo e la nostra memoria siano larghi nelle loro possibilità di accoglienza, il tempo e la vita comunque ci sfuggono via dalle mani, e ci lasciano indietro. Vivere è nascere giorno dopo giorno, forse è questo che, in Effimeri, Andrew O'Hagan prova a fare, seppur nei limiti della parola poetica. Forse è questo ciò che anche lui vuole dirci.
Narrazioni nel segno della fragilità
Frammenti che affondano nel vissuto e nella realtà quotidiana. La fragilità di ciò che appare come assoluto, e la serenità di esserne consapevoli
«La fragilità di ogni cosa: perché tutto, sempre, può crollare, da un momento all'altro. Tutto può venire giù, sempre».
O sai cos'è la “fragilità”, ragazzo mio, o sei perduto nel 2022.
Dall'altro ci mitraglia - dentro, a ogni pagina - con correlati e indicazioni di tutti i tipi, a raffica, come i granelli di polvere che ti arrivano orizzontali a cento chilometri orari (ci siete mai stati?)
Ci frastorna O'Hagan, ci sommerge, ci martella, una gemma dopo l'altra, senza requie, c'è di tutto e il contrario di tutto, il bacio, il sonno, la verità, il corpo, la legge, il confine, la dolcezza, il vento, il destino, la politica, il dovere, le mani, il progetto, la vertigine, la note, la pazienza, il dopo, la forza, la bellezza, la luce ... e cosi avanti.
Una tecnica sicologica, una pioggia di associazioni, di
stelle, di grandine, da cui usciamo elettrizzati ma anche - si fa più
presto a dire cosa non c'è, nel libro - confusi, spaesati, tramortiti,
ubriacati, groggy.
Una terza ipotesi è a metà strada. Ci sono in realtà - dentro quel pulviscolo straniante - dei fili conduttori ben precisi, comunque è una vetrina di menu intrecciati, dove il lettore può scegliere.
Ma entro quell'ampio steccato di frontiera (mitezza, sospensione,
attesa, chiaroscuralità, vulnerabilità, mistero, caducità) ognuno di noi
è invitato – ecco il punto - a trovare nel luminoso / fragrante bersaglio/chiave di Andrew O'Hagan, i filoni suoi, le combinazioni più amiche, i
bandoli che più gli aggradano, che più
gli possono insegnare a capire che cos'è lui, o almeno cosa non è, cosa è
meglio che non sia …
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