ARMATA DI PAROLE E TUTTA SOLA CONTRO GLI ADULTI
LA POESIA SVELA LA POTENZA DELLE PAROLE
Caterina Giuseppa Buttitta
Nella sua prima traduzione italiana Infanzia,
il volume che inaugura la trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen: tre
romanzi autobiografici riscoperti di recente e giustamente celebrati a
livello mondiale come capolavori.
La piccola Tove vive con i genitori e il fratello maggiore in un
quartiere operaio di Copenaghen. Il padre, uomo schivo dalle simpatie
socialiste, si barcamena passando da un impiego saltuario all’altro. La
madre è distante, irascibile e piena di risentimento: non è facile
prevedere i suoi stati d’animo e soddisfare i suoi desideri. A scuola
Tove si tiene in disparte, dentro di sé è convinta di essere incapace di
stabilire veri rapporti con i coetanei; fa però amicizia con la
selvaggia Ruth, una bambina del suo quartiere che la inizia ai segreti
degli adulti. Eppure anche con lei Tove indossa una maschera, non si
svela né all’amica né a nessun altro. La verità è che desidera soltanto
scrivere poesie: le custodisce in un album gelosamente nascosto,
soprattutto da quando il padre le ha detto che le donne non possono
essere scrittrici. Sempre più chiara, in Tove, è la sensazione di
trovarsi fuori posto: la sua capacità di osservazione, lucida,
inesorabile, ma al tempo stesso sensibilissima, le fa apparire estranea
l’infanzia che sta vivendo, come se fosse stata pensata per un’altra
bambina. Le sta stretta, quest’infanzia, eppure comincerà a rimpiangerla
nell’attimo stesso in cui se la lascerà alle spalle.
Tove Ditlevsen, impeccabile ritrattista di una femminilità punteggiata
di chiaroscuri, ci ha generosamente aperto le porte delle molte stanze
da lei abitate negli anni, lasciandoci delle pagine indimenticabili,
destinate a restare.
«I tre volumi della trilogia di
Copenaghen formano un tipo particolare di capolavoro, il tipo che arriva
a riempire un vuoto. È un po’ come scoprire che Lila e Lenù, le eroine
di Elena Ferrante, sono reali… La strada di Istedgade è pungente (e
pericolosa) quanto lo stradone della Ferrante».
«The New York Times Book Review»
«Come si annuncia la grande
letteratura – quella di serie A, quella con la L maiuscola? Annuncio la
trilogia di memorie di Tove Ditlevsen con l’emozione tipica di quando ho
davanti un capolavoro».
Parul Sehgal, «The New York Times»
«La trilogia è un vero tour de
force. Questi libri sono sfavillanti, come mi aspettavo.
Straordinariamente intensi ed eleganti».
Lucy Scholes, «The Paris Review»
«La trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen, poco ma sicuro, è uno dei più importanti eventi letterari dell’anno».
Sophie Wennerscheid, «Süddeutsche Zeitung»
«La sua evocazione della
battaglia di una donna della classe operaia con padroni, guinzagli e i
suoi stessi demoni ne fa un vero capolavoro».
Liz Jensen, «The Guardian»
«Ciò che autrici come Annie
Ernaux stanno facendo oggi, Tove Ditlevsen l’ha fatto più di
cinquant’anni fa. Scrittura autobiografica a cui inchinarsi. Finalmente,
finalmente!».
Emilia Von Senger, «She Said»
«Vado dritto al punto: questi sono i migliori libri che ho letto quest’anno. Infanzia ha le frasi chiare e semplici di Natalia Ginzburg ma anche l’orrore pervasivo di una bella favola».
John Self, «New Statesman»
Tove Ditlevsen
È stata una celebrata poetessa e romanziera danese. I suoi libri autobiografici, Infanzia, Gioventù e Dipendenza, compongono la trilogia di Copenaghen. In queste pagine, con una chiarezza e una sincerità cristalline, l’autrice racconta la sua vita tormentata: eterna outsider del mondo letterario, quattro matrimoni e quattro divorzi alle spalle, per tutta la sua vita adulta ha avuto problemi di dipendenza da alcol e droghe ed è morta suicida nel 1976.
RECENSIONE
Natrrazione, riflressione, ricordo personale, storia sociale e materiale. Sono tante le radici che rendono solido e rigoglioso Infanzia, opera letteraria di Tove Ditlevse. <<La tristezza del giorno, del luogo e dell'anima - mi conciliò con quell'arte ingenua e mi suggerì l'idea di questo studio>>. La storia dell'Infanzia <<Figure elementari rispondono a leggi non scritte>>.
Si può riconoscere un fluido magma narrativo, si può riconoscere nella storia lo spunto reale e doloroso - ma anche una surreale trasfigurazione che viene a nutrire un immaginario denso di ossessioni, un teatrino in cui si agitano i demoni più scatenati.
A raccontare la sensibilità e il candore della bambina cresciuta in una casa priva di amore popolata da <<piccola creatura destinata ad un apprendistato intervallato da momenti di grave pericolo, alla piaga segreta che per anni gli ha ammorbato l'anima. Un'esistenza segnata da un lacereante senso di emarginazione e da un altrettanto sordo e malcelato rancore verso il prossimo: ecco il triste carcere infantile. Un padtre cupo, tetro, altezzoso, superbo che <<preferisce commettere una crudeltà che esprimere con parole il proprio cuore>>. E' lui a dare voce ai fantasmi della figlia <<schifosissima infanzia tradita>>.
A redigere Infanzia è Tove Ditlevsen in cui narra il <<faticoso viaggio dall'infanzia della nostra cattolicissima provincia>>. La polvere dell'infanzia che si deposita sul penoso apprendistato alla vita e diventa cenere della vecchia, tra le nefandezze di una casa fredda dove la bambina impara i primi rudimenti del leggere e dello scrivere. E' la stessa Tove a spiegare come gli esseri umani si siano sempre divisi tra <<ordinari>> e <<straordinari>>; e sono solo questi ultimi che, sono ingrado di cambiare il mondo; sono loro a sottomettere le persone comuni, ridisegnare i confini geografici.
La famiglia lacerata, l'infanzia in bilico, la solitudine come orizzonte minimo dove l'amore, anche quello materno, è un aggrapparsi disperato all'altro. Manca sempre qualcosa ai nuclei che la Tove ritrae in questa sorta di galleria dei fallimenti familiari nella stanza delle parole. La Tove raccoglie la sua testimonianza. Misurare le colpe, scavare, dimenticare è questa la lezione raccolta senza empatia, trattandola come un <<minore>> e non come una bambina. Racconta della frustazione, della paura e della debolezza.
In non pochi momenti la corrispondenza tra Tove e il romanzo è precisa: per esempio, nel delineare il rapporto indagatore, quanto della bambina fosse in un lontano passato nel proprio cuore. E poi c'è l'attrazione dell'universo femminile. Tra il pensare e il dire c'è una ferita: parllare, scrivere per mettere fine all'incubo, per lasciare quella stanza. Sono le parole della paura e della vergogna che la società vuole da lei per ripristinare l'ordine, prima di mandarla via con in tasca altre parole: sttress emotivo, elaborare, percorso di analisi.
Forte di uno stile che maneggia con assoluta padronanza, di una voce capace di raccontare le crepe della vita da diverse angolature, pedine di un gioco <<nelle mani di un Dio solitario e malinconico che ha bisogno diegli ultimi/personaggi per la sua reggia celeste sempre vuota e deserta.
<<E' triste trovarsi adulti senza essere cresciuti>>.
Ma sono le privazioni i <<responsabili della morte prematura della mia innocenza>>, <<gli artefici del mio folle e precoce desiderio che tradisce anche sè stesso>>.
Nel romanzo Infanzia di Tove Ditlevsen, non ci sono nè <<superuomini>> nè <<eroi del popolo>>, mentre il vecchio Dio si è ritirato in qualche piega del cosmo che i fisici del nuovo secolo indagheranno con la loro matematica e con i loro strumenti.
“Mi sembrava che i miei versi coprissero le crepe della mia infanzia, come pelle nuova e bella sotto una crosticina non ancora staccatasi dalla ferita”.
Con uno stile capace di incidere in profondità, Tove Ditlevsen, costruisce un romanzo sul desiderio e la passione, affondando nell'intimità di un caso di cronaca andando al cuore di una questione dolorosa. La <<guerra>> della bambina, sola contro il mondo (fallibile) degli adulti, anche quelli che dovrebbero proteggerla perchè la amano o perchè è il loro compito, procede posizione su posizione. Il muro che, inconsapevolmente, i grandi hanno costruito è invalicabile perchè impedisce loro di vederlo davvero.
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