IL TESTO E LE SUE RELAZIONI: IL ROMANZO DELLA CRISI (IL NOVECENTO)
La grande stagione del romanzo ottocentesco si era svolta, come abbiamo visto, sotto il segno del realismo, nella convinzione che compito del narratore fosse quello di rappresentare la realtà storica, sociale o psicologica. Nel far ciò lo scrittore era animato da intenti educativi o di denuncia o di testimonianza ideologica: e in ogni caso era convinto di poter comprendere e spiegare i meccanismi che governano il reale.
Per la narrativa del primo Novecento tutto ciò non sembra più valido. Non solo il romanzo rinuncia alle vaste sintesi storiche oall'affresco sociale, ma la realtà da esso rapresentata appare insignificante, o incomprensibile, e il messaggio dell'opera risulta incerto e ambiguo.
Come si spiega questa trasformazione? Ne dobbiamo cercare le ragioni al di fuori della letteratura, nelle condizioni storiche e culturali dell'epoca. Il riferimento al "contesto" dell'opera letteraria diventa in questo caso più che mai necessario per comprenderne il significato.
L'ultima parte dell'Ottocento era stata caratterizzata dalla affermazione della filosofia positivista, che aveva espresso la sua fiducia nel progresso tecnico-scientifico, ritenuto in grado di risolvere tutti i problemi dell'uomo, migliorandone le condizioni di vita e garantendo un sempre più vasto dominio sulla natura.
Il pensiero positivista, a sua volta, era in parte espressione dell'ottimismo di quella borghesia che, grazie ai sistemi di produzione capitalistici, andava aumentando sempre più il suo potere economico e il suo peso politico: la formazione di grandi capitali, la competività economica, l'espansione commerciale all'estero, la conquista da parte degli stati europei di immensi domini coloniali in Asia, Africa, Australia sono alcuni dei fenomeni che caratterizzano quest'epoca.
Ma la medaglia ha il suo rovescio. Lo sviluppo dell'industria capitalistica aveva portato alla formazione di grandi masse di lavoratori, che, sradicate dalla loro terra d'origine, erano confluite nelle cittò, sedi delle fabbriche, che si avviavano a diventare squallide metropoli; qui essi vivevano in condizioni spesso miserevoli di sfruttamento: nè certo migliore era la situazione delle popolazioni colonizzate dalle potenze europee, sottoposte spesso ad uno sconsiderato saccheggio delle loro risorse naturali ed umane; la stessa concorrenza a livello mondiale tra i paesi d'Europa alimentava tensioni internazionali e atteggiamenti di aggressività e ntolleranza.
Di fatto, verso la fine dell'Ottocento gli ideali liberali e democratici, che avevano animato le lotte nella prima metà del secolo, subirono una involuzione in senso autoritario e antiliberale.
Agli inizi del Novecento anche il Positivismo entra in crisi e si riaffacciano filosofie di stampo irrazionalistico, tese a negare le capacità conoscitive della ragione e, quindi, ogni fiducia nel progresso.
Caduto ogni ingenuo ottimismo, l'accento batte di nuovo sui limiti dell'uomo, su ciò che gli sfugge e gli resta oscuro intorno e dentro di sè. Lo stesso sviluppo del pensiero scientifico, con le sconvolgenti teorie di Einstein sulla relatività, dimostra che possono essere messi in discussione principi assodati, ritenuti validi e indiscutibili per millenni. Nello stesso tempo Freud indica nuove strade e nuovi metodi all'indagine introspettiva, reinterpretando la complessità della psiche umana alla luce della scoperta dell'<<inconscio>>.
Di fronte ad una realtà così complessa, in un clima culturale ricco di scoperte ma anche caratterizzato da una rinnovata incertezza, qual'è la risposta dell'arte e in particolare della narrativa? Per lo più, i letterati si mostrano smarriti di fronte alla realtà e dolorosamente consapevoli del tramonto di ogni certezza. Dinanzi a quella che è sentita come un'età di crisi, gli artisti si interrogano sul significato del loro "fare" e quelli che non si abbandonano alla seduzione della fuga dalla realtà, fanno della loro opera una dolorosa denuncia della <<pena del vivere così>>.
Essi rappresentano il grigiore della vita quotidiana, il vuoto di ideali e di speranze, il senso di impotenza e di sconfitta dell'uomo qualunque, l'uomo <<senza qualità>>, l'inetto. Oppure, come nel caso di Kafka, il volto assurdo di un potere tirannico e incomprensibile, che shiaccia l'individuo, condannato a una tragica solitudine. Nessuna fiducia di poter comprendere, nonchè dominare, la realtà oggettiva traspare da queste opere; il reale, filtrato attraverso l'esperienza soggettiva, appare viceversa caotico e disregato, come nell'Ulisse di Joyce, oppure portatore di messaggi ambigui e inquietanti.
L'attenzione si sposta dalla realtà esterna a quella interiore, e molti romanzi, come quelli di Proust e di Svevo, assumono l'aspetto di un lungo viaggio alla rcerca di se stessi; ma anche l'indagine soggettiva si perde nei meandri della coscienza, scopre la contemporanea presenza in noi di diversi <<io>>, il continuo mutare di tutte le cose e di noi stessi, l'abitudine che ciascuno ha di mentire a se stesso, fino a concludere che anche la realtà soggettiva è inafferrabile e in ultima analisi inconoscibile.
Sul piano narrativo la sfiducia di conoscere e rappresentare la realtà oggettiva si traduce in opere in cui il punto di vista è sempre interno al racconto, o perchè il narratore coincide con il protagonista o perchè ne assume l'ottica. Da tale prospettiva la realtà esterna è spesso deformata; i luoghi assumono connotazioni simboliche, il tempo è dilatato o viceversa scorciato a seconda di come è percepito interiomente. La storia narrata ha pochissima importanza, e la fabula risulta continuamente interrotta da riflessioni, pause descrittive, digressioni, fino ad essere in alcuni casi del tutto irriconoscibile.
La consapevolezza della complessità dell'io dà luogo alla costruzione di personaggi ambigui, molteplici, incoerenti, fino alla teorizzazione estrema di Pirandello per cui non si possono "fissare" le caratteristiche di un individuo per il continuo fluire della vita interiore.
Parallelamente si assiste alla ricerca di nuovi mezzi espressivi e di tecniche narrative capaci di aderire meglio alla mutevole e sfuggente esperienza interiore. L'uso del monologo interiore si fa sempre più esteso e più frequente e Joyce ne porta alle estreme conseguenze i presupposti con la tecnica del cosiddetto <<flusso di coscienza>>.
Data la dissoluzione della fabula, la complessità dei personaggi, dei temi trattati e delle tecniche adottate, la lettura di questo tipo di romanzo si presenta spesso molto difficile. Si tratta comunque di un passaggio obbligato della cultura del Novecento, indispensabile per comprendere la narrativa e in generale la cultura dei nostri giorni.
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