UN EQUILIBRIO (QUASI PERFETTO) E I COMPROMESSI
PER NON SMETTERE DI ESISTERE
Caterina Giuseppa Buttitta
Generi
Gialli Noir e Avventura
»
Thriller e suspence
,
Romanzi e Letterature
»
Legal, Thriller e Spionaggio
Editore
Mondadori
Collana
Scrittori italiani e stranieri
Pubblicato
12/04/2022
Pagine
396 - Euro 21,00
Il libro
Quanti compromessi si accettano per non deludere le aspettative degli
altri, per essere una bambina diligente, poi un'adolescente
responsabile, infine una donna dolce e gentile. Senza che ce lo
confessiamo, il costo delle piccole e continue sopraffazioni subite
giorno dopo giorno è spesso una rabbia nascosta dietro l'apparenza di
una vita normale, azioni ordinarie, un lavoro e una vita di coppia come
tante. Elisabetta è avvocato in un piccolo studio associato e galleggia
tra cause di separazioni, spaccio, affitti non pagati. Lavora dieci ore
al giorno, ma stenta a decollare. Anche la sua vita privata non è
esaltante: il rapporto con il fidanzato Daniele arranca tra alti e
bassi, le amicizie si sono allentate, il padre, vedovo, è anziano e
fragile. Come se non bastasse, da qualche giorno un uomo la segue.
Angelo Walder, un suo vecchio assistito, condannato per violenza e
abuso. Ha scontato il carcere e ora come aveva promesso è tornato a
cercarla, finché una sera Elisabetta se lo ritrova in casa... Per
salvarsi non le resta che ribellarsi e prendere in mano la propria vita,
senza più chiedere aiuto a nessuno. Costi quel che costi. Un romanzo di
ritmo e suspence che racconta la discesa agli inferi di una giovane
donna come tante. Un thriller che inchioda il lettore alla pagina, e
insieme una lucida rappresentazione della società contemporanea, che
svela la follia che si cela dietro la vita di tutti i giorni. In cui
anche noi possiamo riconoscerci. Forse senza confessarcelo.
ESTRATTO DAL LIBRO
Ho mosso i primi passi controllando la mia espressione, i miei movimenti, la mia postura. Dovevo risultare rassicurante come qualcuno che si sta occupando di un amico.
«Eccoci qua.»
Ho sistemato il vassoio sul tavolino basso davanti a lui, quello di vetro che avevo acquistato con Daniele. Ho impugnato il bollitore e lui si è sporto verso di me.
È stato quello l’errore, il primo della sua vita, credo. Voleva dimostrare che aveva abbassato le difese e che io potevo stare tranquilla.
A quel punto è stato più facile del previsto sbattergli il bollitore di metallo contro il viso con tutta la forza che ho potuto.
Il suo corpo è rovinato all’indietro, si è afflosciato sul divano ed è scivolato lentamente a terra.
L’avevo fatto.
Ora il problema era capire come liberarmi di lui.
Una voce lontana che apriva la porta di un sogno e veniva a prendermi, porgendomi delicatamente una mano soffice e mite che sembrava lì per difendermi da qualcosa di sconosciuto.
L’inizio della primavera mi regalava sempre un certo effetto. Desiderio di rinascere, di risvegliare qualcosa che aveva dormito per tutto l’inverno. Ascoltare il corpo, concentrarsi sulle sensazioni fisiche.
Ho provato un moto di rabbia. Ma perché la gente doveva essere sempre così aggressiva e nervosa già di mattina?
Attaccare prima di essere attaccati. Tanto che la mia vita, negli ultimi tempi, alle volte mi appariva come l’unico modo possibile per evitare le detonazioni.
Ma non mi sarei fatta rovinare la giornata. Non dovevo pensarci, l’avevo imparato. Farsi scivolare via dalla pelle la tensione degli altri.
Lasciar andare, nessun attaccamento alla negatività del mondo. E poi. Percorrevo quella strada da vent’anni e talvolta qualche ricordo si insinuava ancora tra i miei pensieri.
Il fatto è che lo capisci crescendo, quanto sei legata al tuo passato, e lo senti ogni giorno di più. E alle volte, mentre leghi la bicicletta alla rastrelliera dietro le aiuole e i cespugli a fianco del palazzo in cui lavori e ti confronti con la persona che sei diventata, vorresti tornare indietro e riavvolgere il nastro della tua esistenza per ripartire con una vita diversa.
Più tua.
Che era troppo tardi per riavvolgere qualsiasi nastro, l’ho compreso mentre imboccavo l’androne, nel silenzio delle scale, salutata dalle targhe di ottone degli studi legali accanto ai campanelli.
Tra quelle decine di nomi tutti uguali c’era anche il mio.
AVVOCATO ELISABETTA SFERZI.