lunedì 11 aprile 2022

RECENSIONE N. 2 - "EFFIMERI" by ANDREW O'HAGAN - BOMPIANI

Narrazioni nel segno della fragilità

Frammenti che affondano nel vissuto e nella realtà quotidiana. La fragilità di ciò che appare come assoluto, e la serenità di esserne consapevoli.

«La fragilità di ogni cosa: perché tutto, sempre, può crollare, da un momento all'altro. Tutto può venire giù, sempre».

O sai cos'è la “fragilità”, ragazzo mio, o sei perduto nel 2022.

 Caterina Giuseppa Buttitta

Effimeri

La luce dell'adolescenza

Tutto questo è verissimo anche nel suo alludere all'adolescenza vista da lontano, o meglio da un fuori, anziché da un “in”, da un dentro inclusivo. È come se, ancora una volta, Andrew O'Hagan avesse trovato un angolo speciale di osservazione sul mondo e sulla vita: qui la luce verso cui il suo sguardo si dirige è appunto l'adolescenza, ed è in questa luce che si svolgono le scene. Lo scrittore è l'osservatore, ma è anche l'osservato: a comparire nei quadri di descrizione sono i suoi figli, ma è anche lui stesso. E non solo: con lui, con loro, è come se comparisse un'intera costellazione di presenze, di ricordi, di assenze. È come se O'Hagan scrivesse da un avvenire già sognato e chiamasse a raccolta, davanti a sé, tutto ciò che ha lasciato un segno e tutti coloro che all'interno di questo avvenire hanno lasciato una traccia.Nella prima traccia sembra proprio lui, quindi, il bambino che affronta il fiume in piena della fedeltà invisibile nella vita, e sembra quasi che i versi gli si rivolgano come fosse un altro, come se si trattasse di un “tu” o un “lui” diversi dal loro autore: “Giovani le cui speranze di riscatto, politico e culturale, neanche la morte può arrestare, in un pomeriggio d'estate, e di calore./Solo con la coscienza divisa tra ribellione e sottomissione, tra sfuggire aldegrado ed erotizzarlo, tra amare ed essere amati/ e le sue leggi/quel ragazzo passava ore e ore/per superare il numero di colpi prefissato:/non allegro, ma assorto,/completamente dedito allo scopo assegnato” – salvo poi rivelarsi finalmente in un “io” nei versi conclusivi: “Era un acconto di felicità, o conforto/verso il futuro, verso i giorni avversi. Forse per questo, adesso, scrivo versi”. Altrove è il figlio, dichiaratamente.

Altre volte ancora è il ragazzo, o un amico, o un poeta/cantante amato. Altre volte ancora, infine, non compare nessuno – e sembra, in questi casi, che l'osservatore sia quello stesso ragazzo/adolescente che guarda il mondo stretto in una tale morsa di angoscia che pareva sul punto di morire. Ora cresciuto e disincantato. I versi sfumano allora in riflessioni vere e proprie, in pensieri, in analisi dai toni più disparati. Tanto elegiaci in certe pagine, quanto ironici o perfino caustici in altre. La malinconia, forse, quale tono predominante.

La malinconia

La verità è che Effimeri è una raccolta difficilmente riducibile ad unum. È un romanzo nel quale convivono molti registri. Però forse il registro predominante è quello della malinconia: ma neppure questa tutto sommato è una novità. Al fondo, quello che sentiamo scorrere è un senso di struggimento, perché, per quanto il nostro sguardo e la nostra memoria siano larghi nelle loro possibilità di accoglienza, il tempo e la vita comunque ci sfuggono via dalle mani, e ci lasciano indietro. Vivere è nascere giorno dopo giorno, forse è questo che, in Effimeri, Andrew O'Hagan prova a fare, seppur nei limiti della parola poetica. Forse è questo ciò che anche lui vuole dirci.

Narrazioni nel segno della fragilità

Frammenti che affondano nel vissuto e nella realtà quotidiana. La fragilità di ciò che appare come assoluto, e la serenità di esserne consapevoli

«La fragilità di ogni cosa: perché tutto, sempre, può crollare, da un momento all'altro. Tutto può venire giù, sempre».

O sai cos'è la “fragilità”, ragazzo mio, o sei perduto nel 2022.

Dall'altro ci mitraglia - dentro, a ogni pagina - con correlati e indicazioni di tutti i tipi, a raffica, come i granelli di polvere che ti arrivano orizzontali a cento chilometri orari (ci siete mai stati?)

Ci frastorna O'Hagan, ci sommerge, ci martella, una gemma dopo l'altra, senza requie, c'è di tutto e il contrario di tutto, il bacio, il sonno, la verità, il corpo, la legge,  il confine, la dolcezza, il vento, il destino, la politica, il dovere, le mani, il progetto, la vertigine, la note, la pazienza, il dopo,  la forza, la bellezza, la luce ... e cosi avanti. 

Una tecnica sicologica, una pioggia di associazioni, di stelle, di grandine, da cui usciamo elettrizzati ma anche - si fa più presto a dire cosa non c'è, nel libro - confusi, spaesati, tramortiti, ubriacati, groggy.

Una terza ipotesi è a metà strada. Ci sono in realtà - dentro quel pulviscolo straniante - dei fili conduttori ben precisi, comunque è una vetrina di menu intrecciati, dove il lettore può scegliere. 

Ma entro quell'ampio steccato di frontiera (mitezza, sospensione, attesa, chiaroscuralità, vulnerabilità, mistero, caducità) ognuno di noi è invitato – ecco il punto - a trovare nel luminoso / fragrante bersaglio/chiave di Andrew O'Hagan, i filoni suoi, le combinazioni più amiche, i bandoli che più gli aggradano, che più gli possono insegnare a capire che cos'è lui, o almeno cosa non è, cosa è meglio che non sia …

“Sono fili che ci legano agli altri, ai vivi come ai morti, sono promesse che abbiamo consumato e di cui non riconosciamo l’eco, lealtà silenziose, sono contratti per lo più stipulati con noi stessi, parole d’ordine accettate senza averle comprese, debiti che custodiamo nei recessi della memoria. Sono le leggi dell’infanzia che dormono dentro il nostro corpo, i valori per cui lottiamo, i fondamenti che ci permettono di resistere, i principi indecifrabili che ci tormentano e ci imprigionano. Le nostre ali e le nostre catene. Sono i trampolini da cui troviamo la forza di lanciarci e le trincee in cui seppelliamo i nostri sogni”. 
 
Ognuno dei protagonisti richiama un mondo a sé fatto di silenzi, di assenze, di mancata comunicazione con gli altri, di omissioni continue e di distorsioni della realtà dietro ragioni di protezione dell’altro che celano il rifiuto della propria inadeguatezza o l’impossibilità di far fronte da soli al peso di quel carico emotivo. Andrew  O'Hagan tesse storie restituendo nell’osservazione dell’altro il mistero che egli racchiude, come nello sguardo di chi tesse: («La vita nel suo semplice darsi – sospeso ogni giudizio, redento ogni peccato, spariti i confini. La vita noncurante di sé stessa, inconsapevole, perfino ignara»), seguendo una linea di poeticità che si apre esattamente nel punto in cui sembra serrarsi («Quei momenti di estasi, tra il tormento e lo stupore»). Immaginandone i pensieri per scorgere in quei modi di fronteggiare la consapevolezza di aver smesso di vivere il presente della vita ed i loro strenui tentativi di avanzare in essa vita.  Andrew O'Hagan in "Effimeri", dispensa a piene mani nel testo: il coraggio e la fantasia, tratti distintivi di uno scrittore di sicuro talento che converrà continuare a tenere d’occhio.
 
Il libro è unico perché è la storia di un ruggito combattute nello stesso tempo: quella contro gli altri, e quella contro il lato oscuro e miserevole di noi stessi, che crediamo di conoscerci. Come scrive Andrew O'Hagan,  l’autore «trasfigura l’esperienza del suo protagonista in una surreale allucinazione». Dentro la quale il lettore di oggi e di sempre non fa che perdersi e ritrovarsi.
 


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