lunedì 22 luglio 2019

POST #223/19 Oggi che cosa è rimasto di questo trauma psicologico nel nuovo emigrante?

Il Meridione è stato a lungo una terra di grande, dolorosa emigrazione; ma il nuovo emigrante è diverso da quello degli inizi del secolo, è la persona che appare inserita in una società più evoluta e che nel paese d'origine suscita più invidia che nostalgia. 

Ora, la prima domanda da porsi è se rimane valida per questi nostri connazionali all'estero in continuo movimento la definizione di emigranti. Emigrante era un termine romantico con un sottofondo disperato. Un emigrante degli anni Venti quasi sempre nell'allontanarsi dal paese nativo intuiva di dovere andarsi a cercare un'altra patria nel più ampio significato del termine. Partiva con un corredo culturale sul dialetto, con una memoria tattile e visiva e l'unica forza di coesione con il passato la si doveva ricercare nel più o meno intenso sentimento di nostalgia. 

Emigrante fu in quegli anni, oggi lo sappiamo, un termine eufemistico: perchè chi partiva poneva soltanto sul piano della speranza l'illusione di ritornare. Ma anche in questi casi fortunati l'emigrante che dopo venti, trenta e più anni veniva restituito all'Italia era un altro da sè del momento della partenza. La sua lingua si era trasformata in un misto d'inglese o di spagnolo o di portoghese confuso ad ancestrali spezzoni linguistici dialettali.

In definitiva, l'entusiastico ritorno in Italia sfociava in una delusione. 
Oggi che cosa è rimasto di questo trauma psicologico nel nuovo emigrante?




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