Da millenni civiltà, popoli, religioni, eserciti si contendevano il controllo delle sue mura, assediandola, conquistandola, perdendola. Gli adulti nascondevano il dolore, le paure, il fallimento, ma gli adolescenti nascondevano la felicità, come se mostrandola rischiassero di perderla.
Il tentativo <<Lei>> di sembrare più a posto e meglio presente di quanto non fosse realmente le ha dato uno slancio che le ha fatto perdere l'equilibrio e inciampato, in modo particolarmente rumoroso e imabrazzante, proprio mentre stava salendo il gradino sociale.
Mi sono alzata in fretta, ho sorriso e mi sono avvicinata zoppicando alla poltrona della scrivania. La testa mi pulsava, ma sono stata attenta a non darlo a vedere. Cosa sorprendente, ma non insolita, è stato proprio in quel momento imbarazzante e doloroso che mi è venuta in mente una meravigliosa idea per un racconto.
“Siamo sempre inclini a dimenticare ciò che abbiamo detto o fatto nel passato, anche per non avere il tremendo obbligo di rimanervi fedeli”.
<<Lei>> nella vita non aveva fatto altra cosa che essere bella ed era giusto perciò che rimanesse attaccata alla sua bellezza. Oggi nell’alto corpo disfatto, avvizzito, stanco, non ritrovava neppure le tracce di quello di un tempo: allora si era attaccata all’ombra di quello, poiché esso era stato per lei la vita stessa. Vita nomade di erede al casato perfetta alla quale neppure il corpo era cagione d’amore. Forse non era stato desiderato come quello delle altre donne poiché esso si mostrava tutto prima che potesse essere maturato il desiderio di vederlo. Non era stata intelligente, non era stata ricca, non era stata mai nulla, lei; la sua anima non aveva mai avuto nulla. Il suo corpo era il protagonista della sua vita: lui solo aveva vissuto.
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