Anna Luisa Pignatelli, scrittrice torna al suo mondo toscano, proposto a Premio Strega
Il libro
Un racconto carico di tensione che gioca sul contrasto tra i soleggiati paesaggi toscani e le ombre interiori del protagonista.
Ora che è anziano, le giornate di
Agostino, detto Gosto, scorrono l’una uguale all’altra nel podere
immerso nella campagna ereditato anni prima. La moglie, cinica e
pettegola, lo ha lasciato e l’unica figlia sembra interessata solamente
ai soldi. Eppure, Gosto crede ancora nel bene e nella giustizia; conduce
una vita appartata, ama la natura e prova a ignorare l’ostilità della
gente del paese in cui, da sempre, è considerato un estraneo. Con
pazienza, cerca di rimettere in sesto il terreno di sua proprietà anche
se i ricordi del passato spesso tornano a tormentarlo. Girando per il
borgo, si riconosce nell’intraprendenza del meccanico Nuccio, rivede le
promesse dell’amore nella giovane Stella e nutre tutta la sua diffidenza
verso il Terzi, un vicino prepotente che ha sempre spadroneggiato nella
zona e che non ha mai smesso di vessarlo. Quando Stella lascia
improvvisamente il paese e sparisce senza fare ritorno, Gosto è convinto
che le sia accaduto qualcosa e che la sua sparizione abbia a che fare
con le occhiate piene di disprezzo e di odio che gli lancia il Terzi.
Autrice dalla voce forte e ben riconoscibile, Anna Luisa Pignatelli
offre ai lettori un racconto amaro e profondo, che, attraverso brevi
ricordi, traccia la parabola esistenziale di un uomo riflettendo allo
stesso tempo sull’iniquità e la crudeltà del mondo. Gosto è un vecchio
solo, stretto tra il luogo inospitale in cui si trova a vivere e la
malvagità dei suoi compaesani, ma è anche il ritratto di chi non ha mai
perso la fiducia nel prossimo e ha mantenuto intatto il suo amore per la
vita. Con una prosa asciutta e limpida, l’autrice si inserisce nel
solco di una tradizione ben consolidata e lo fa con uno stile proprio
che, come scrisse Antonio Tabucchi, fa di lei «una voce insolita nella
letteratura italiana di oggi: lirica, tagliente e desolata».
Sui libri dell’autrice hanno scritto:
«Severo e bello Ruggine. Un ritratto del mondo che dà i brividi».
Ida Bozzi, «La Lettura – Corriere della Sera»
«L’arte di non coincidere
perfettamente con il proprio tempo è quella che rende un testo vicino
all’essere un classico e questo è il caso di Ruggine».
Filippo La Porta, «Il Sole 24 Ore»
«Una scrittrice dal palato letterario fine e ben riconoscibile».
Renato Minore, «Il Messaggero»
«Impossibile non lasciarsi stregare dagli ambienti descritti: un libro crudo e onesto, poetico e triste».
Valeria Strambi, «la Repubblica»
«Nell’asciuttezza dello stile, nella precisione dello sguardo, l’autrice ricorda Federigo Tozzi e Silvio D’Arzo».
Alessandro Zaccuri, «Avvenire»
«La prosa di Anna Luisa Pignatelli appartiene alla migliore tradizione narrativa italiana».
Guido Caserza, «Il Mattino»
Rassegna stampa
Pignatelli e il suo "campo di Gosto". «È come la mia terra, aspro e libero»
Anna Luisa Pignatelli
Toscana di nascita, ha trascorso molti anni fuori dall’Italia, fra cui diversi in Tanzania, Portogallo, Corea del Sud e Guatemala. È molto conosciuta in Francia, dove, nel 2010, ha vinto il Prix des lecteurs du Var con la traduzione della raccolta di racconti Nero toscano. Con Ruggine (Fazi Editore, 2016), molto apprezzato dal pubblico e dalla critica, ha vinto il Premio Lugnano 2016. Sempre per Fazi Editore, nel 2019, è uscito Foschia.
FOSCHIA
RUGGINE
RECENSIONE
Anna Luisa Pignatelli torna a narrarci la sua toscana, la vita in un borgo, il rapporto difficile, anche aspro, tra il protagonista e gli altri abitanti, ma questa volta il suo Agostino Neri detto Gosto, più che far pensare alle anime desolate di Tozzi, ci pare un vero povero cristo evangelico, ''un uomo positivamente buono'' come l'idiota di Dostoevskij, del resto citato sin dall'inizio come la prima lettura, casualmente in vendita dal giornalaio del suo pase, Montici, del protagonista studente della medie, cui il professor Papini aveva inculcato curiosità per la cultura.
E' per questo suo amore per i libri, che lo rende diverso e meno malleabile, che il padre, un minatore, lo aveva soprannominato Storto e lui, a quella definizione, in fondo ci è affezionato se la ricorda spesso e persino a una camicia che gli chiede quale nome debba metter all'ordine gli propone quello, tra provocazione e nostalgia, prima di darle il suo.
Il racconto si apre il primo giorno da pensionato di Gosto dopo una vita come autista di un camioncino per le consegne di una grande azienda agricola. E l'atmosfera qui è sì cupamente tozziana: ''Steso sul materasso, gli parve di essere entrato nel tunnel silenzioso che si apre davanti a chi, terminata la vita attiva, ha per meta solo la morte'' e gli vengono in mente il Casini e il Cisterni che a suo tempo si erano uno appeso a una trave, l'altro buttato in un pozzo. Ma è solo un momento costruito a contrasto col carattere e l'amore per la vita di Gosto che invece segnano tutto il resto del racconto.
Come un Cristo che fa del bene, che è sempre disponibile verso gli altri, pur patendo le prese in giro, le critiche e le maldicenze dei compaesani di Castelnuovo, dove abita da quando si era sposato, e le prepotenze del signorotto locale, il Terzi, ricco e arrogante industriale del mobile da tutti temuto e riverito, Gosto nutre fiducia profonda nel prossimo ''così come la convinzione che chiunque fosse in grado di distinguere il bene dal male gli aveva permesso, nel corso dell'esistenza, di sentirsi meno solo''. Non a caso nel suo podere pianterà quelle piante simboliche che sono gli ulivi.
Non sarà così in questi suoi ultimi anni perché la vita non fa che continuare a creargli delusioni facendone quasi un vinto , se non fosse che lui non si arrende mai, non perde la fiducia nonostante, dopo che l'ha lasciato la moglie Zelia, che la sua amata Ombretta è anche lei andata via, e così Iris e Silvana con cui le cose sono sempre sospese, ci sia la delusione per la figlia Mirella, che vive al di sopra delle proprie possibilità col marito e si ritrova con la casa messa all'asta per debiti.
Così vorrebbe il padre vendesse il suo piccolo podere, l'amato Focaia, inaspettata eredità e ora suo ultimo rifugio, rimesso in piedi con le sue mani.
Tra il Terzi che gli è sempre contro, spalleggiato dal suo fido Magini, con angherie grandi e piccole, come quando gli sequestra uno dei tre bei porcini appena colti, e i coetanei che lo dileggiano (''Perché dovrebbe mettersi a far strullate con noi, lui è un signore''), ecco che il suo cuore si apre come sempre per l'amicizia col giovane meccanico Nuccio e soprattutto la comparsa della giovane e bella Stella, in cui si illude di rivedere una promessa d'amore, ma che subisce le molestie di Terzi e Magini. E proprio Stella, non lei direttamente ma per la malvagità degli uomini, sarà il dolore ultimo, dopo un'inutile lotta in nome del bene e della giustizia.
Il tutto, con un procedere piano, narrato in modo potremmo dire arioso con la lingua, pulita, asciutta, questa sì toscana anche nell'atmosfera che crea e poco dostoevskiana, con qualche eco o parola dialettale, della Pignatelli, autrice nel 2016 di un più inquietante romanzo e dalla misura quasi perfetta, ''Ruggine'' (vincitore del Premio Lugnano). Ora ''Il campo di Gosto'', presentato da Alessandro Masi, è stato proposto al Premio Strega.
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