Alberto Manguel
Don Chisciotte e i suoi fantasmi
Sellerio Editore
2023
Il divano n. 333
144 pagine - Euro 12,00
Un saggio magistrale su uno dei romanzi più famosi al mondo, un simbolo riconosciuto della cultura europea da uno dei massimi esperti di storia del libro e della lettura.
Il libro
«In un’angusta cella di prigione, in una città spagnola il cui nome non vogliamo ricordare, forse Castro del Río o forse Siviglia, un uomo d’armi e di lettere, cinquantenne e già stanco, concepisce un personaggio a propria immagine e somiglianza, un cavaliere un po’ più ridicolo e più coraggioso di lui, un individuo strenuamente deciso a combattere le quotidiane ingiustizie del mondo. Tra quattro umide pareti, “ove ogni scomodità ha il proprio seggio e ogni triste rumore prende dimora”, pareti che certamente gli ricordano la sua lunga prigionia africana, il detenuto Miguel de Cervantes Saavedra dà vita a un vecchio hidalgo che rifiuta di piegarsi alle convenzioni menzognere di questo mondo e decide di obbedire unicamente alle norme dettate dalla sua coscienza».
Miguel de Cervantes finge di aver trovato il manoscritto del Don Chisciotte opera di un certo Cide Hamete Benengeli, un moro. Sono gli anni, quando lui scrive, in cui i moriscos, gli arabi convertiti, sono cacciati dalla Spagna: ultimo atto da parte del potere di un tentativo di limpieza de sangre, e di invenzione di una identità pura della Spagna. Quindi l’attribuzione a un moro e a una lingua vietata del suo capolavoro è già di per sé un atto sovversivo. E non è se non il primo degli innumerevoli doppi che si trovano in quest’opera-specchio segreto. Sono i «diversi altri», i «fantasmi» di cui Cervantes, per caso o per studio, dissemina il primo e più fondamentale romanzo moderno. Questa fitta, ingegnosa e sorprendente analisi di Alberto Manguel (Buenos Aires 1948, scrittore e uno dei lettori del cieco Borges nonché fondatore di un rivoluzionario Centro internazionale sulla lettura) li svela puntigliosamente.
RECENSIONE
Lo "storytelling" a volte gioca brutti scherzi: Don Chisciotte, uno dei libri più popolari nel mondo, il capolavoro che ha dato alla Spagna un simbolo riconosciuto della sua cultura, dato alle stampe negli anni della brutale ricerca della "limpieza de sangre", della identità pura, di fede cristiana immacolata, voluta dalla Corona, viene costruito da Cervantes dando voce ad un immaginario completamente opposto.
Grazie ad una finzione letteraria costruita attorno ad una figura "positiva" e non marginale nell'impianto del racconto: quella di un reietto, di un arabo, cacciato come tutti i "moriscos" dalla sua terra.
E' questo, ci racconta Manguel, scrittore e traduttore
argentino, direttore della biblioteca Nazionale di Buenos Aires, allievo
di Jorge Luis Borges, uno dei "fantasmi" che aleggiano nell'opera di
Cervantes, lo specchio di una finzione, dell' invenzione di Cervantes
che è pari a quella costruita dalla narrazione e dalle ambizioni di chi
deteneva allora il potere. Anzi, essendo quella del romanzo cavalleresco
più aderente alla realtà sociale dell'epoca, la sua narrazione risulta
molto più verosimile rispetto allo storytelling ufficiale che
rincorreva, all'epoca, l'ideale di una fittizia purezza cristiana, con
la quale la Spagna era stata privata di due terzi della sua popolazione,
quella dei mori e degli ebrei.
Il Don Chisciotte viene
pubblicato a Madrid nel 1605, quattro anni prima che venisse emanato il
decreto di espulsione dei "moriscos", vale a dire degli arabi che
popolavano la penisola iberica. Con l'editto del 1492 che determinò la
cacciata degli ebrei prima, e degli arabi qualche anno dopo, la Spagna
Cattolica, con l'aiuto dell'Inquisizione, si era voluta "inventare" un
identità cristiana pura, provando a cancellare le sue radici sociali e
culturali. E' in quel contesto culturale che Cervantes affida la genesi
del grande capolavoro della letteratura spagnola ad un "moro", grazie ad
un artificio letterario.
La storia del Don Chisciotte inizia infatti con un anziano signore che, influenzato dalla lettura dei romanzi cavallereschi, decide di farsi cavaliere errante. Cervantes inizia a raccontare le sue avventure ma quasi subito si ferma, confessando di non sapere più come la sua storia possa proseguire.
Pagine più avanti arriva però la soluzione: l'autore racconta che trovandosi un giorno in un'affollata strada di Toledo, gli capita di imbattersi in alcune carte che lo incuriosiscono: sono scritte in caratteri arabi e Cervantes non le sa decifrare. Impaziente di scoprire cosa contenga quel manoscritto cerca quindi un "morisco" che possa tradurgliele. Ne trova uno (Cervantes ne descrive i tratti e la storia, facendo affezionare il lettore anche al suo destino di esiliato che torna nella sua amata Spagna perché incapace di starne lontano), che gli rivela che si tratta di un racconto che narra la storia di un certo Don Chisciotte, opera di un autore chiamato Cide Hamete Benengeli, o come meglio tradotto da alcuni, Sidi Ahmed Benengeli.
Un Moro, dunque, condannato con il suo popolo a vivere fuori dai confini del paese e una lingua, quella araba, che era, molto probabilmente, la più antica lingua parlata nella penisola iberica ma che era divenuta ormai proibita. E' un espediente letterario quello trovato dall'autore, un vero e proprio "atto sovversivo" sostiene Manguel, uno dei tanti innumerevoli doppi che si trovano nell'opera "specchio-segreto" che popola e riempie di "fantasmi" il primo e fondamentale romanzo moderno.
"Chi fosse Cervantes e
quali fossero le sue opinioni politiche e sociali non è importante. È
più importante - scrive Manguel - il fatto che per un lettore di oggi
l'onnipresenza di Cide Hamete nel don Chisciotte e le scene commoventi
che alludono a un popolo ingiustamente cacciato, ci dicono che una
cultura esclusa non può essere facilmente messa a tacere, che nel corso
della storia ogni assenza ha il peso e la forza di una presenza e che
molto spesso la letteratura è più sapiente del più sapiente dei suoi
artigiani".
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