Han Kang
L’ora di greco
Il libro
"È in grado di udire e leggere in modo distinto ogni singola parola, ma non riesce a schiudere le labbra e emettere alcun suono.
È un silenzio freddo e rarefatto, come un'ombra privata del proprio corpo, come il tronco cavo di un albero morto, come lo spazio oscuro tra una meteora e l'altra". È quel che accade alla protagonista di questo romanzo di Han Kang, scritto subito dopo il grande successo internazionale de 'La vegetariana', ed è assieme un esempio della sua prosa intensa, di suggestioni intime e visionarie con echi lirici che si direbbe (non conoscendo il coreano) molto ben resi dalla traduttrice Lia Iovenitti.
Questa donna spera e tenta di recuperare la
parola dopo essere diventata improvvisamente muta per una serie di
traumi, come le era già successo da adolescente, venti anni prima, sino
all'incontro con una parola straniera, francese che, miracoloso
grimaldello, l'aveva liberata dal suo silenzio opprimente.
Coprotagonista del romanzo è un uomo, docente di quella lingua antica in
un istituto privato di Seul appena più grande di lei, anche lui alle
prese con una menomazione, la perdita progressiva della vista dovuta in
questo caso a una malattia genetica. L'incontro avviene perché lei (dei
due non sarà mai detto il nome) ora prova a usare quella affascinante
lingua morta nella speranza che questa volta sia una parola greca a
ridarle voce.
Il racconto, nel suo potente e delicato procedere,
sembra indagare come il vivere attuale possa essere d'aiuto al passato,
a superarlo, e, nell'evidenziare l'importanza della comunicazione
verbale, quanto conti sempre il rapporto con i nostri sensi, la presenza
e coscienza del corpo, qui evidenziato nella ricerca di un dialogo e
un'intimità tra una donna privata del suono, e un uomo della vista che
della loro difficoltà hanno fatto una difesa nei confronti del mondo,
della vita. Due esistenze del resto segnate dal rimpianto e dal dolore:
lei ex bambina prodigio colpita dalla morte della madre e reduce da una
storia finita col divorzio e una lunga battaglia legale persa per
l'affidamento del figlio di sette anni, dopo la quale ogni giorno
cammina sino a sfiancarsi del tutto, come per perdere coscienza; lui
ricorda il suo passato di emigrante in Germania e soprattutto non riesce
a liberarsi della memoria di una storia d'amore di allora per una
ragazza sorda, figlia di un oculista, e mentre non vede più si aggrappa
alla parola, a imparare a memoria testi e lezioni.
Sarà Platone
con la ricchezza del suo eloquio retorico a funzionare pian piano da
terapia e condurre i due a incontrarsi e superare i propri limiti e le
proprie difese nel segno di Borges, di cui il professore all'inizio cita
la frase che lo scrittore argentino, anche lui divenuto cieco, aveva
voluto incisa sulla sua tomba: "C'era una spada tra noi".
Alla
fine il contatto della pelle, delle labbra annulla quella lama
metaforica d'acciaio e grazie a un momento d'amore la narrazione come il
dolore si scioglie in poesia, in versi: "da quell'istante, siamo poco a
poco risaliti / appena raggiunta la superficie, / siamo stati
trascinati a riva con violenza".
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