sabato 24 febbraio 2024

REVIEW: ''MAX E FLORA'' DI ISAAC BASHEVIS SINGER, ADELPHI.

Torna il grande Singer con una gangster novel

Varsavia anni dieci, avventure di un personaggio meraviglioso 

Isaac Bashevis Singer

Max e Flora

Traduzione di Elisabetta Zevi

Biblioteca Adelphi, 747
2023, pp. 226, € 19,00  
 
 
 
Il libro
 
A Max basta vederla, quella Rashka appena quindicenne, per rimanerne abbagliato. E dire che finora tutto filava liscio: lui e la sua bella Flora, moglie e amica, complice e amante, sono tornati a Varsavia per procurarsi della «merce» per la loro fabbrica di borsette – in realtà, carne fresca per il florido bordello che gestiscono a Buenos Aires. Appena arrivati, si sono immersi, come un tempo, nel mondo di via Krochmalna, cuore pulsante del ghetto di Varsavia, sorta di corte dei miracoli, dove, all’inizio del Novecento, aleggia ancora un buon «odore di birra, mostarda, bagel caldi e pretzel» e trafficano i loro vecchi amici, gente come Meir Panna Acida, Leah Lingualunga, Itche il Guercio e Srulke il Tonto. Ma, come recita un antico detto yiddish, «dieci nemici non possono fare a un uomo il male che può fare a se stesso». E così sarà di Max Shpindler, un’altra delle indimenticabili figure della vasta commedia umana che Singer ha saputo mettere in scena: cinico e donnaiolo, in apparenza pienamente soddisfatto di sé e della propria ricchezza, pronto a finanziare un gruppo di anarchici se questo gli consente di far soldi, Max è in realtà tormentato da dubbi, e da domande a cui non trova risposta, e da tentazioni di morte – un tumulto che proprio l’incontro con l’irresistibile Rashka porterà con prepotenza alla luce. Dopo Keyla la Rossa e Il ciarlatano, un terzo, strepitoso inedito del grande scrittore polacco. 

I romanzi inediti, comparsi solo in una rivista yiddish newyorkese negli anni '70, che Adelphi sta recuperando e propone grazie all'impegno e le ottime traduzioni di Elisabetta Zevi, riservano vere sorprese e, dopo un piccolo capolavoro come ''Keyla la rossa'' uscito in Italia nel 2017, ecco quest'altra gangster novel, così etichettata come romanzo di genere, che ne travalica tutti i confini e propone un personaggio come Max Shpindler, tra i più avvincenti, veri, umani che questo autore abbia creato.


    La vicenda si svolge nella Varsavia degli anni dieci del Novecento, dove Max torna dopo tanti anni con sua moglie Flora, una ex attrice di poco talento con cui ha fatto fortuna a Buenos Aires, creando una florida fabbrica di borsette, ma anche partecipando a un non meno fruttuoso bordello gestito da Berta, per il quale in Polonia cerca ragazze fresche. 
 
Risiede nell'elegante Hotel Bristol, dove si rispettano i soldi anche se gli ebrei non sono visti di buon occhio, specie quelli un po' pacchiani e che parlano principalmente yiddish e il polacco lo pronunciano male come lui. Del resto la scelta dell'albergo è solo una sorta di piccola rivincita per uno come Max, nato tra le vie povere e malfamate della città, con al centro quella Via Krochmalna dove sin dal mattino ''c'era odore di birra, mostarda, bagel caldi e pretzel'' e vi vivono e si incontrano ladri e ogni genere di malfattori, puttane e rabbini, e così l'amico fraterno di una vita di Max, Meir detto Panna Acida, che è un po' il rispettato boss del luogo e sua moglie Leah Lingualunga. 

    Il problema, come recita un detto yiddish ricordato da molti, è che ''dieci nemici non possono fare a un uomo il male che lui può fare a se stesso''. E di questo Max si rivela un esempio fulgido, mascalzone ma debole, che senza Flora poco avrebbe ottenuto e che, appena Meir gli presenta Rashka, dice di capire ''all'istante che di quella ragazza si sarebbe innamorato... e avrebbe avuto un ruolo importante nella sua vita'', specie dopo che la convince a seguirlo, avendo saputo che la sua amata Flora, in realtà prima di conoscerlo lavorava in un bordello e pian piano poi venire a conoscenza che anche a Buenos Aires tutti lo sapevano e la ricattavano ottenendone le grazie. 

    Figura tutt'altro che limpida lui stesso, da maschio però non accetta tutto questo e da lì inziano tutti i suoi guai, anche perché Rashka ha 15 anni e lui, quarantenne che l'ha sedotta, rischia la galera. Ha poi iniziato a finanziare un gruppo di anarchici che preparano una rapina a una banca e gli promettono una parte, ma che sospetta, essendosi in seguito tirato indietro, Srulke il Tonto lo voglia poi denunciare alla polizia. Vivrà quindi in fuga, di sotterfugi e nascondendosi persino a Meir che non approva assolutamente la sua condotta e aver abbandonato la moglie senza nulla, e senza nemmeno avvisarla. 
 
Il mondo esteriore e interiore di Max sembra esplodere e comincia a vivere in fuga tra illusioni e speranze, tra terribili sensi di colpa e voglie insane, tra giuramenti di fedeltà e ripensamenti continui, sentendosi raggirato e col desiderio di sparare ora a Flora ora ad altri, come l'attore suo amante di un tempo e che l'ha riaccolta Feivele Shekhter, o pronto a suicidarsi con la pistola carica che porta sempre in tasca, istigato e frenato assieme da ricordi di precetti della Torah, eredità di suo padre pio inserviente di sinagoga, e una sorta di sua filosofia esistenziale, ma che vede ora tutto deciso da forze superiori, ora sentendosi vittima di demoni che giocano con lui ''alla roulette russa'', col sapere che essere caduto così in basso ''gli procurava una sorta di soddisfazione mentale'', nonostante la coscienza che Dio ''ha un libro in cui ciascuno scrive di proprio pungno i propri peccati''. 

    La vita di Max diventa un turbillon avvincente, un continuo sentirsi annegare e cercar di riemergere e risolvere ogni cosa, nella grande città che gli suscita infinita nostalgia e assieme lo fa sentire oramai estraneo, perché sente che non avrebbe mai dovuto andarsene abbandonando il mondo protettivo di Via Krochmalna, come si sente in fondo estraneo a Buenos Aires. 

    Così, il gioco meraviglioso di Singer e proprio far sì che questo accidentatissimo, romanzesco percorso di Max, narrato con ritmo incalzante e una decisa vena ironica tra tanti affanni, lo porti a recuperare a sorpresa, seppur dolorosamente, le proprie radici.

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