Stiamo vivendo in tempi di crisi, di cambiamenti, di incertezze. Ed è proprio quando siamo a un bivio che abbiamo bisogno di volgere lo sguardo ai libri, alle righe tracciate dal passato: nulla di ciò che accade lo si vive per la prima volta. Nella memoria della scittura troviamo le orme dell'esperienza umana, sopravvissuta una volta e un'altra e un'altra ancora alla siccità, alla carestia, alla peste, a traumi e guerre. Quale valore assegnare alla letteratura nei periodi di sfida collettiva? Dopo l'11 settembre 2001, quando i prodotti audiovisivi erano già onnipresenti, si registrò una maggiore affluenza di persone nelle librerie di New York. Leggere è stato un prezioso strumento di ricostruzione in varie parti del pianeta sferzate dalla violenza, da tremende crisi economiche, da esodi della popolazione o nelle catastrofi naturali. Numerose iniziative si registrano nei penitenziari, nei quartieri problematici, nei programmi di riabilitazione dei bambini costretti a fare la guerra o degli adolescenti senza famiglia, e il risultato è sempre una rivelazione: i destinatari di quelle esperienze di lettura <<hanno scoperto nei libri una possibilità di intavolare con il mondo un rapporto che non fosse solo di depredazione, di dominio o di ricavi materiali>>.
Nelle stagioni convulse, la parola scritta funge da magazzino sicuro per quelle idee che ci mantengono saldi e ci riscattano. figlio di questo millennio trepidante, il nostro immaginario è colonizzato dalla velocità, l'immediatezza, la moltiplicazione. Innamorati dell'accelerazione, ci fanno impazzire le connessioni istantanee, i processori da vertigine, il miracolo di scacciare un tasto e comunicare all'istante, a immensa distanza. Tutta questa tecnologia rapida e favolosa, però, è figlia di una macchina che lavora piano: il cervello. Ed è proprio la lentezza il segreto del suo sopraffino funzionamento. le idee che nutrono la nostra razionalità hanno bisogno di tempo, cautela e quiete per svilupparsi.
Come scrisse lo storico romano Tacito: <<la verità si irrobustisce con la ricerca e la dilazione; la falsità, invece, con l'urgenza e l'incertezza>>. Presi dalla premura, abbiamo messo all'angolo l'educazione e la pazienza. Questa mancanza di serenità cognitiva si può definire crisi di distrazione. Guy Debord ha detto che il nostro tempo ci spinge a essere più spettatori che lettori, e cioè a diluire la tensione del lettore nell'adagiarsi dello spettatore. Leggere non è passivo quanto ascoltare o vedere; è ricreazione ed effervescenza mentale. Leggiamo a ritmo nostro, moduliamo la velocità, interiorizziamo quel che ci interessa assimilare e non quel che ci buttano addosso con un impeto e a un volume tale da lasciarci storditi.
In quest'epoca accellerata, i libri spuntano come alleati per recuperare il piacere della concentrazione, l'intimità e la calma. per questo leggere può essere un atto di resistenza in un tempo invaso dall'informazione nervosa e sparata a palla. Carmen Martin Gaite nel suo saggio El cuento de munca acabar meditava sul fatto che leggere e scrivere <<è come fermarsi a contropelo in mezzo a ciò che ribolle e trascina, un fermarsi contro vento e marea, come se ai piedi ci fossero spuntate le radici millenarie (...), come se fossimo in un luogo ovattato e silenzioso, su un'isola deserta, oppure osservaassimo un paesaggio ridente e placido della nostra torre merlata, al riparo dalla morte, dalla mutazione, dalla fretta>>. Un libro rispetta la nostra soglia di attenzione, ci mantiene disconnessi dalle urgenze, le notifiche e la pubblicità. La batteria non gli si scarica, è resistente e può esseRe bellissimo. Non è esposto all'obsolescenza programmata, anzi, ha una vita utile di secoli e secoli. Emette suoni, profuma, lo puoi accarezzare. La carta convive in pace e armonia con i suoi fratelli fatti di luce, gli schermi, ma è dotata di un'aura che noi appassionati di letteratura amiamo e riconosciamo.
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