Gli innamorati
Einaudi
Di chi si innamorano davvero gli innamorati? Della persona che hanno davanti o di un'illusione che hanno in testa? Se l'amore è un mistero a due, il matrimonio è un mistero collettivo. Lo sa bene Flaminia Aloisi, che ha conosciuto Carmine quando era spiantato, giovane e splendente, cosí spavaldo da dirle «Io ti sposo». Ora hanno un attico con vista sul Tevere, una figlia adolescente e due carriere invidiate da tutti: ogni istante brilla come il sole sui tetti di Roma. Ma sotto quella luce non è facile nascondersi per sempre.
Peppe Fiore ha scritto un romanzo profondo, umano e dolorosamente ironico sulla fiducia e sulla menzogna, i segreti e le vanità. La storia di un legame che sembra scritto dal destino, e insieme un affresco della borghesia romana: lo sfarzo, le ambizioni e gli intrighi. Perché quando si ha tutto, è il momento di chiedersi a cosa si è rinunciato.
Il libro
«I sentimenti erano il contrario della realtà».
La prima goccia le cade sul naso in una giornata in apparenza serena, come una premonizione. Flaminia alza lo sguardo: è l’inizio di un temporale che paralizzerà Roma per una settimana. Il Tevere esonda, nessuno esce di casa. Anzi, no. La Guardia di Finanza, piú ostinata del diluvio, arriva a prelevare proprio suo marito, accusato di riciclaggio. In quel momento esatto, l’universo di Flaminia cambia forma. Possibile che Carmine Rebora, uno degli architetti piú stimati della capitale, il grande amore della sua vita, abbia fatto una cosa cosí grave da finire sotto inchiesta? Eppure loro due sono la coppia piú invidiata di Roma. Flaminia vive immersa nella bellezza, l’arte è il suo mondo, è al vertice di un importante museo cittadino. E ora all’improvviso si rende conto che tutto ciò che ha costruito, grazie alla sua intelligenza e alle sue relazioni, sta per dissolversi. Compreso il matrimonio. Prima che quella pioggia iniziasse a cadere, Flaminia e Carmine avevano tutto. Si proteggevano a vicenda, come i trapezisti in equilibrio sul vuoto. Adesso, mentre la fiducia reciproca viene meno, sembrano destinati ad affondare insieme all’intera città. Con grande maestria e con uno sguardo umanissimo – ironico ma sempre amorevole – verso i suoi personaggi, Peppe Fiore ci mostra l’intima natura dei legami che ci tengono uniti agli altri. La paura e il desiderio, la fiducia e le ambizioni sbagliate. Piú piccola è la crepa, piú imprevedibile sarà lo schianto: c’è un giorno in cui si rimane soli, e bisogna decidere se perdersi per sempre o scegliersi di nuovo.
RECENSIONE
Cinici e ambivalenti, i personaggi di Peppe Fiore sembrerebbero senza speranza. Se non fosse per l'amore...
Poco dopo l’uscita del suo esordio, Peppe Fiore rintracciava nella propria voce un difetto: “guarda quanti aggettivi conosco e come so descrivere bene le condizioni della luce del cielo di Roma”.
Forse è per questo che nel suo nuovo romanzo lo scrittore torna a Roma, ma in un giorno temporalesco: la pioggia smuove quelle “verità segrete” di cui parla l’Elémire Zolla in esergo, portando in superficie, in un precipitare di eventi, le bugie delle persone care. Gli innamorati del titolo (Carmine e Flaminia) vivono nella capitale, ma lui ha l’inflessione da “scugnizzo”, lei velleità “milanesi”.
Entrambi appartengono al “potere romano di medio cabotaggio”, strato della società che dà la possibilità a Fiore di provarsi in uno dei suoi maggiori talenti, certo affinato dal lavoro di sceneggiatore, quello nel costruire personaggi ambivalenti.
È il caso dell’ex deputato della DC che finisce a ricoprire la poltrona “poco più che onoraria” di presidente dell’Unione Nazionale Incremento Razze Equine; di Scoccia, artista avantgarde, che si aggira scalzo per sentire le energie della terra ma, appena sceso dall’aereo, nota che “la business di Alitalia è peggiorata”; dei compagni di classe della figlia che si atteggiano a coatti ma sono tutti di “buona famiglia”.
Il vizio intrinseco che si rileva nei protagonisti, sul quale Flaminia riflette dalle prime pagine, è quella che il critico Daniele Giglioli, in un saggio sulla letteratura recente, ha definito “assenza di traumi”, condizione che in questa storia trova spesso risvolti comici (“un po’ mi dispiace che ce ne andiamo da Prati”).
Nel cinismo dei rispettivi ambienti, la forma istintiva d’amore che i due hanno trovato, pare l’unica possibile per connettersi e riscattare i silenzi.
Qui tutte le immagini create da Fiore hanno a che fare con gli incastri: quelli erotici dei corpi, quelli intimi dei gesti (“appoggiò la testa nell’incavo del suo collo, dove sapeva di combaciare come un guscio”) fino al conclusivo ricongiungimento tra gli amanti ma, soprattutto, coi padri, probabilmente il vero tema della vicenda.
Fiore, nel frattempo, ha fatto pace col cielo di Roma (“il sole friggeva allo zenit del cielo blu elettrico”).
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