Formato: Rilegato
Titolo: Al destino non ci credo
ISBN: 978-88-9375-193-3
Prezzo: € 13,00
Genere: Narrativa
Collana: Kimera
Anno: 2017
Pagine: 200
Autore: Carlo Fallace
Titolo: Al destino non ci credo
ISBN: 978-88-9375-193-3
Prezzo: € 13,00
Genere: Narrativa
Collana: Kimera
Anno: 2017
Pagine: 200
Autore: Carlo Fallace
Charlotte è una ragazza che è dovuta crescere troppo in fretta. Strappata dalle braccia dei suoi genitori e delle persone che amava, viene condotta in un campo di prigionia. Qui subirà umiliazioni e i suoi occhi saranno costretti a vedere la morte di tante persone care. Ma, nello stesso posto, conoscerà anche l'amore: riuscirà infatti a fare breccia nel cuore di George, una guardia del campo che si innamorerà della sua generosità, della sua bontà d'animo e soprattutto della capacità di Charlotte di mettere sempre gli altri al primo posto. Una storia di morte, quindi, ma anche una storia d'amore.
CARLO FALLACE
Carlo Fallace nasce a Napoli, è studente universitario, iscritto al
corso di Laurea in Servizio Sociale presso l'Università di Napoli
“Federico II”. Il suo sogno nel cassetto è sempre stato quello di
scrivere. Si divide tra gli amici, lo studio, l'università e il gruppo
parrocchiale Acr (Azione Cattolica dei Ragazzi) dove è educatore.
RECENSIONE
Al destino non ci
credo diventa con la parola scritta una “vita”, con la memoria di Charlotte,
con il ricordo, con l’eco delle esperienze vissute. Nei lettori è comune
l’esperienza ammaliante che il romanzo parli di “noi”, della nostra vita,
l’impressione di respirare da sempre in quelle pagine. A volte per questo
legame forte non riusciamo a staccarci dal libro, dove il tema centrale fosse
la perdita di persone care, dove l’infelicità è maneggiata senza filtri. Il
confine tra la crudeltà percepita e il bisogno di felicità è molto labile.
A mio parere nessun
modello letterario può spiegare i crimini umani orrendi e indicibili. E’ solo
nella “testimonianza”, come rappresentazione delle esperienze profonde e
significative dei sopravvissuti che possiamo avvicinarci agli innominabili
orrori.
La trama del romanzo
“Al destino non ci credo” di Carlo Fallace è tesa ad un confronto con vissuti
oscuri, con pensieri imprevedibili, con una massa di frammenti e una serie di
interrogativi. L’autore Carlo Fallace ha trovato le parole per descrivere
quello che alla protagonista Charlotte stava succedendo e quello che si
aspettava, affidava i suoi pensieri, ricordi, desideri, per non dimenticare,
poiché questi potevano metterla in salvo.
La ragazza, invece, di
chiudersi nel silenzi o per non soffrire, utilizza le parole che diventano come
pesci che, provengono dal silenzio, abituati a nuotare in acque scure: esseri
schivi che non intendono svelare ciò che mostrano.
Afferrare quanto si
aveva di più prezioso al mondo e poi…! E, quella notte, solo ciò che viveva.
ciò che respirava, piangeva, amava, valeva qualcosa! Erano pochi coloro che
pensavano con rimpianto alle ricchezze perdute: l’importante era stringere fra
le braccia una moglie o un figlio. Il resto non contava, il resto poteva
sprofondare pure tra le fiamme.
Ogni perdita di una
persona cara ha un suo valore assoluto. Il dolore della mancanza ha aspetti altamente
soggettivi. Nel caso della giovane Charlotte però ci sono aspetti particolari.
La sua famiglia è stata colpita a morte da un altro “essere umano nazista”. La
morte delle sua famiglia trascina con sé un corteo di interrogativi in più,
perché non ha niente da consolare. L’amore,
poi, riaffiora qua e là, come luce nel fango.
Nell’aria, nel
silenzio, si respirava l’angoscia, allora aspettava la sera allo spuntar delle
stelle per affidare i propri pensieri:“Non abbiamo fatto del male a nessuno. Perché? Perché a me?”
Gli anni passano e
Charlotte fa fatica a distinguerli. Ma quel suo vissuto da quel giorno non ha
precedenti per intensità emotiva, peso degli avvenimenti, incertezza del
futuro, paura. Da quel giorno il tempo a cambiato molte cose e lei ha
accumulato riflessioni, interrogativi sul suo vivere.
La mancanza della
famiglia Per Charlotte è segnata dalla assurda è ingiusta fine, dal dispiacere
per l vita spezzata con violenza inaudita. Silenzio, tacere, quando la vita le
fa più male, spesso le parole sono pietre, sono onde, ma sono le poche cose di
cui Charlotte dispone davvero, quando tutto sembra crollarle attorno. Spesso
proprio le parole insignificanti, possono aiutarla, al di là dei vertiginosi
baratri.
Come può Charlotte
affrontare simili momenti? Tutte le situazioni drammatiche si affrontano
dissociandosi in svariati modi che permettono di non rimanere annichiliti dal
dolore e poter in qualche modo sopravvivere. Charlotte, non voleva rimanere
senza voce davanti al vuoto provocato dal male. Parlare di nazisti. Di campi di
concentramento, di lager è difficile perché emotivamente doloroso ed è una
pagina buia nella dignità umana.
Ma quando ti accade
qualcosa come alla protagonista del romanzo, si guarda alla vita con meno
illusioni e con più gratitudine. La sua visione della cose è cambiata, non può
più prescindere da quello che è accaduto. Charlotte aveva tanti sogni da
salvare.
I figli dei
sopravvissuti come Charlotte, si portano dietro la sofferenza del lutto non
elaborato della famiglia, degli affetti,
per continuare a vivere deve ripristinare l’equilibrio perduto, senza
per questo affidarlo all’oblio. Deve fare la conoscenza “dell’inumano”.
L’esperienza del suo
incontro con l’atrocità, la portano a segnare un confine fra i vivi e i morti,
da cui deve prendere le distanze. Allora Charlotte, si rifugia nei suoi sogni,
nei ricordi e in quel giovane sentimento che prova quando conosce George.
Allora una nuova ondata di speranza la investì, le parole, i gesti, i contatti,
diventano ponti, impalcature, che danno speranza alla vita che altrimenti come
spirale si avviterebbe su se stessa, fino alla perdita del significato stesso
dell’esistenza.
Capitoli molto brevi,
profondità di pensiero, dettagli narrativi caratterizzanti personaggi e
luoghi…sono questi gli elementi precipui di un romanzo drammatico, ma che
esalta la determinazione e l’incisività per poter sopravvivere alle miserie
psico-fisiche che la guerra impone a qualsiasi individuo, specialmente se si
tratta di adolescenti. Diventando soldato dell’esercito tedesco George, con i
suoi dubbi e le sue debolezze, passerà oltre la sua coscienza pur consapevole
delle malvagità che si stavano compiendo intorno a lui,, per inseguire la sua
chimera.
Charlotte cerca i
punti ai quali aggrapparsi, per non lasciar scivolare via la vita come sabbia
tra le dita: dai rapporti con gli altri, dalla volontà di rimanere viva, da
George. Le pagine del romanzo di Carlo Fallace, “Al destino non ci credo”, una
dopo l’altra, attivano una sorta di conoscenza affettiva a “posteriori”, che ci
permette di lasciar scorrere le lacrime, di abbandonarsi alla tragedia che ha
colpito la protagonista, all’amore dei suoi
familiari che non ha più, al loro ricordo. I destini opposti di Charlotte e
George, convergono e si sfiorano in una
limpida bolla di luce.
Con un stile di
scrittura molto fluido ma che palesa al contempo una scelta accurata delle
parole, volta a creare un alone di poesia che impregna ogni singola pagina del
libro: si ha spesso la sensazione che l'autore Carlo Fallace, voglia aiutare
chi legge a percepire lo stato d'animo dei protagonisti provando a ricrearlo e
trasmetterlo nella descrizione dell'ambiente, dei suoi suoni e colori.
La scrittura di Carlo
Fallace è incisiva, lascia scorrere le immagini, descrive vissuti inerti e
silenzi insostenibili, i desideri e le paure, lasciarsi contagiare dal gioco
con la vita e dalla speranza di un domani.
CITAZIONI DEL LIBRO
Quel giorno avevo scoperto un nuovo sentimento. Avevo
scoperto il sentimento dell’odio.
E’ vero non era quella di mio fratello, ma avevo salvato una
vita! Avevo risparmiato una vita.
Era raro trovare gioia in quelle quattro mura. Era raro
trovare qualcuno da definire amico, eppure esisteva questo sentimento. Esisteva
il volersi bene, il voler bene a qualcuno che conosceva poco la nostra storia,
la nostra vita.
Mentre tornavo nella camerata, avvertii una sensazione
strana: bella. Ma come poteva essere bella se intorno c’era soltanto orrore?
Perchè provavo questa sensazione così spiacevole mentre gli altri morivano di
fame?
Morire per aver chiesto dell’acqua, per aver chiesto del
cibo. Morire per essere rispettati. Morire per aver fatto valere i propri
diritti. Diritti umani.
Diana scosse la testa. Probabilmente sarebbe stata la
prossima vittima. Sarebbe stata la prossima a morire. Il destino aveva scelto
lei. Voleva portarla via da noi, voleva sottrarla dalle braccia di chi le
voleva bene, sua figlia. Era ingiusto subire una crudeltà simile.
E’ triste pensare che l’unico modo per lasciare questo campo
è morire. Era la triste realtà, era la cruda realtà.
L’unica speranza era
il desiderio affidato a quella stella. Non potevamo sperare in altro se non in
quella stella che forse sarebbe arrivata a qualcuno che avrebbe percepito il
dolore, la sofferenza che stavamo provando sulla nostra pelle.
Ero triste, ma allo stesso tempo non potevo far vincere quel
senso di angoscia e disperazione. Dovevo cercare di essere forte.
Ero riuscita a
salvare tutte le donne. Ero riuscita a portarle fuori da quell’inferno. Le
avevo salvate tutte, tranne me.
George, lentamente, si avvicinò alla mia faccia. Le sue
labbra toccarono le mie e in un attimo mi sentii la persona più felice sul
pianeta.
Era strano sentire da una bambina desideri del genere. Non
desiderava ricevere una torta con tanto di panna, non desiderava ricevere un
nuovo gioco. Desiderava e ricevere e
dare un abbraccio.
Sull’avambraccio avevo una serie di numeri segnati di nero. Per loro non ero più Charlotte
Grimaldi, probabilmente non lo ero mai stata. Per loro ero 98987. Una serie di numeri che sostituisce una
persona, che sostituisce la vita, la sua storia, la sua realtà, il modo di
essere, di fare.
Stavo riacquistando la mia dignità. Ero considerata di nuovo
una persona, un essere umano.
Nessuno avrebbe
saputo che fra tutto quell’orrore c’era qualcuno che aveva voluto salvarmi,
tirarmi fuori di lì.
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