È tra i maggiori autori di thriller americani e i suoi romanzi sono pubblicati in quarantasei paesi. Ha esordito con Immoral (Piemme, 2006), che ha vinto il Macavity Award come migliore opera prima. Con Il veleno nel sangue (Piemme, 2013) ha vinto gli International Thriller Awards per il miglior romanzo dell'anno. Tra i suoi più recenti thriller Io sono tornato (Piemme, 2015) e La ragazza di pietra, preceduto dalla short story Polvere alla polvere (Piemme, 2014) - questi ultimi con protagonista il suo personaggio più amato, il detective Jonathan Stride. In Italia, Freeman è stato molto apprezzato da Giorgio Faletti. Vive in Minnesota con la moglie.

I libri di Brian Freeman


 RECENSIONE

In un baratro al di là del ponte è stato ritrovato il corpo di una donna con il panico e il dolore ancora impressi sul volto. La scena ricalca in ogni dettaglio una serie di omicidi avvenuti tempo prima, ritrovati in zone diverse della città che, vengono identificate tutte come ex pazienti della dottoressa Frankie Stein, Frost sa che dovrà partire da lei per capire chi si nasconde dietro gli omicidi.

Anni di esperienza e indagini serrate hanno insegnato al detective della Omicidi Frost Easton che nei casi di omicidio, specialmente quelli più violenti, non c’è nulla che possa essere ritenuto impossibile. Mettere sotto torchio la dottoressa Frankie Stein – con la quale spesso si ritrova a dover collaborare in tribunale, non basta, per trovare l’assassino c’è bisogno di un’operazione di polizia complicata e pericolosa. Sembrerebbe una tragica fatalità, ma qualcosa nelle indagini non torna: molte le circostanze spiegabili solo riducendole a casualità, troppe le coincidenze sospette. Il detective Frost, impegnato nella risoluzione di casi di omicidio risalenti ad anni prima, sospetta che tra quei delitti e la scia di morte che sta turbando la tranquillità della cittadina ci sia un sinistro collegamento, una linea rossa che unisce un passato inquietante e un presente non meno pericoloso.

 Ma il suo istinto di detective e la sua ostinazione gli suggeriscono di indagare a fondo. Ma non riusciva a vedere il collegamento. “Lei voleva degli indizi, detective?  Voleva qualcosa di insolito. Questa è l’unica cosa insolita che mi viene in mente”. Era come se l’intero episodio fosse stato del tutto cancellato dalla sua memoria. La dottoressa  Stein, sapeva fin troppo bene che la memoria era inaffidabile e i ricordi giocavano scherzi al cervello. Lei si scontra con un’umanità reietta, con la sofferenza più indicibile, con il buio della mente.

Il ricordo è  il vero protagonista di questa storia, a tratti sconfinato ed eterno, con le sue foreste e le sue lande; a tratti permeato della sua dolorosa ed inevitabile caducità, troppo difficile da comprendere ed accettare; il ricordo come macchina bellissima e imperfetta, capace di suscitare sensazioni e riflessioni, capace di far vivere, muovere, danzare, morire.

Il dolore finisce, ci saranno altre persone, ma il vuoto non viene mai colmato. Come potrebbe? L’unicità di qualcuno che è stato così importante che lo rimpiangiamo non viene annullata dalla morte. Il buco che ho nel cuore ha la forma della persona amata, e nessun altro può colmarlo del tutto.  I pazienti della Stein erano tormentati dai ricordi e volevano esorcizzare i propri fantasmi.

La terribile ironia, per Frankie Stein, era che i suoi pazienti dimenticavano il passato, ma lei custodiva i loro segreti nella sua mente. Le persone credevano che i ricordi fossero fissi, ma nulla era più lontano dalla realtà. 

 Ogni volta che un ricordo veniva tirato giù dallo scaffale della memoria e poi rimesso a posto, non era più quello di prima. I terapisti avevano un nome per questo processo: riconsolidamento mnestico, cioè ogni ricordo era come argilla morbida. Mentre lo tenevi tra le mani potevi rimodellarlo e dargli una nuova forma.

Le parole dell’autore sono intense, profonde, viscerali; la trama che descrive è assoluta e, nello stesso tempo, perfettamente razionale, analitica, sentita e studiata nei minimi dettagli in quella che è una contraddizione solo apparente. Il tono della narrazione è sempre in movimento come in movimento sono i toni che accompagnano i pensieri di ciascuno dei protagonisti e i diversi momenti della narrazione; a volte sfacciati, a volte comici, a volte arrabbiati e tristi; al centro della narrazione c’è una “porta”, ed è quella che conduce all’anima del protagonista, ed è socchiusa, così da permettere al lettore di sbirciare. Ad un certo punto la porta si spalanca per poi improvvisamente richiudersi alle sue spalle e, a quel punto, è troppo tardi per tornare indietro.

Cosa è mai accaduto ai pazienti della dottoressa Stein? In quale condizione si trovano? Vivono ingannati da un ridondante girotondo di ricordi che pian piano affiorano portando alla luce tracce del loro passato.

Così come Todd Farley che, nel corso dell’indagine diventa Todd Ferrris, in seguito si scoprirà che è un paziente della dottoressa Stein.  Egli è diviso in due, davanti allo specchio nella sua immagine riflessa scorge un’anima affranta, nella sua realtà recupera attimi di vita, emozioni, deviazioni e follia, alla ricerca dell’unica vera libertà raggiungibile in quel momento. Oltre la coscienza, Todd è contro Todd, necessario per conseguire consapevolezza di se stessi e del proprio passato, carico di malinconia, che lentamente riaffiora.

Personaggi comuni uniti dal filo del destino, un’umanità esasperata, giochi di ruolo tra vittime e killer. Brian Freeman, si diletta con la psicologia dei suoi personaggi costruendo una storia che sconvolge e al tempo stesso commuove. Andando a ritroso nella memoria, esplorando  un passato che si rivelerà carico di ricordi, pieno di rimpianti e disseminato di trappole.

Le parole dell’autore Brian Freeman  sono intense, profonde, viscerali; la trama che descrive è assoluta e, nello stesso tempo, perfettamente razionale, analitica, sentita e studiata nei minimi dettagli in quella che è una contraddizione solo apparente. Il tono della narrazione è sempre in movimento come in movimento sono i toni che accompagnano i pensieri di ciascuno dei protagonisti e i diversi momenti della narrazione; a volte sfacciati, a volte comici, a volte arrabbiati e tristi; al centro della narrazione c’è una “porta”, ed è quella che conduce all’anima del protagonista, ed è socchiusa, così da permettere al lettore di sbirciare. Ad un certo punto la porta si spalanca per poi improvvisamente richiudersi alle sue spalle e, a quel punto, è troppo tardi per tornare indietro.

Qui l’ebbrezza dei dettagli che scintillano in una prosa furiosamente cesellata diventa il mezzo più sicuro, se non l’unico, per salvare una moltitudine di istanti e di profili altrimenti destinati a essere inghiottiti nel silenzio, fissandoli in parole che si offrono come «miniature traslucide, tascabili paesi delle meraviglie, piccoli mondi perfetti di smorzate sfumature luminescenti». I ricordi non sono dunque un diario, memoria di gesta passate, al contrario, con la loro natura di «schegge» scaturite dal più profondo dell’animo umano, rappresentano un breviario spirituale che parla a ciascuno, in ogni tempo.

La donna che cancellava i ricordi di Brian Freeman è una storia d’amore e di amicizia, di tradimento e autoinganno, ma è anche un romanzo sulla perdita, sul tempo che abbiamo, sul nostro bisogno di ricordare ed essere ricordati, e sulle parole a cui ci aggrappiamo nella speranza o nell’illusione di cambiare tutto quello che è stato.


CITAZIONI DEL LIBRO

Erano tormentati dai ricordi e volevano esorcizzare i propri fantasmi.

«Sai già come facciamo. Vedrai i tuoi ricordi attraverso i tuoi occhi, e mi dirai nei dettagli tutto quello che vedi e senti. È come se fossi lì, e tutto succedesse di nuovo. Ma non sta davvero succedendo a te. Tu sei solo un’osservatrice. Distaccata. Capisci?»

«Se non ricordi bene qualche particolare, ti correggerò io, perché voglio che ricordi esattamente.

 La terribile ironia, per Frankie, era che i suoi pazienti dimenticavano il passato, ma lei custodiva i loro segreti nella sua mente.

 Frost annuì. «Ricordi qualcosa?»
«No. 
È come se gli ultimi due giorni fossero scomparsi. 
L’ultima cosa che ricordo…» «Io e te sul pendio di quella collina» disse Lucy. 
«Tu mi abbracciavi. Mi facevi sentire al sicuro.»
 «Ne sono felice.»

La memoria di Frankie era stata spazzata via come impronte sulla sabbia cancellate da un’onda.

Todd voltò la testa e la fissò con i suoi occhi sognanti, ma ora Frankie vedeva ciò che c’era dietro quegli occhi. Dolore. Tragedia. Follia. E più di ogni altra cosa, rabbia. Una furia profonda. Verso il mondo. Verso di lei.

Todd si voltò di nuovo verso l’oceano. «Ti ho detto che volevo guardarti morire, ma doveva essere una tua paziente ad affondare il coltello. Pensavo che avresti apprezzato l’ironia di vedere i tuoi metodi usati contro di te. Proprio come ho fatto con quelle altre donne. Prima volevo distruggere la tua carriera. La tua reputazione. E poi volevo vedere quella ragazza ucciderti davanti a me. 

Sei disposta a rischiare che ti uccida, pur di scoprire cos’hai dimenticato. Pur di riprenderti la tua memoria.
  
E' accettabile perseguire la tua soddisfazione egoistica, quando mette a rischio altre persone?”

E' giusto rischiare la vita o la felicità di un altro solo perché tu vuoi qualcosa?”

Tu dovresti sapere meglio degli altri che non puoi fidarti della tua memoria.

Lei rispondeva che la cosa più difficile è ricominciare da capo e costruire qualcosa di nuovo.

 Aiutare le persone a vivere con il loro passato, invece di cambiarlo, di cancellarlo.

Si sentiva come uno dei suoi pazienti, che dopo la terapia si ritrovavano con un vuoto nel cervello al posto di qualcosa di orribile che c’era prima. Avevano fatto qualcosa per liberarsi dalle loro paure, ma le chiedevano sempre cosa fare dopo.