domenica 20 febbraio 2022

PRESENTAZIONE IL SENSO PER LA PAROLA" by SERGE GAINSBOURG by SCARLETT DOUGLAS SCOTT.

 Buongiorno.“Il senso per la parola di Serge Gainsbourg” ha una qualità non comune per una biografia del genere: gode di una prosa colta e curatissima. Sembra più un saggio francese che italiano, nato più da una passione personale che da un ingaggio editoriale qualsiasi. Fin dal sottotitolo “un poeta può nasconderne un altro”, si fa riferimento alla passione di Gainsbourg per il calembour, per il motto di spirito, la battuta salace. In che modo queste detonazioni del fraseggio comune diventano canzone o poesia?Tra i piani di attività di Gainsbourg, il cinema è forse quello meno celebrato, a dispetto di una filmografia – almeno da regista – di spessore e che aspetta di essere rivalutata; penso almeno a “Je t’aime moi non plus” (1976), “Equator – L’amante sconosciuta” (1983) e “Charlotte for Ever” (1986). Qual è la caratteristica che rende il suo cinema ancora così respingente? 

Parigi, trent’anni fa l’addio a Serge Gainsbourg

Il poeta aveva 62 anni, a salute minata dal fumo smodato di Gauloises e dai superalcolici.

Era il 2 marzo 1991, trent’anni fa. E a Parigi se ne andava il poeta maledetto della canzone francese. Aveva 62 anni, ma era una morte annunciata da tempo quella di Serge Gainsbourg. Anni di Gauloises («i chiodi della mia futura bara», amava dire) e fiumi di superalcolici (ma non droga, quella non la consumò mai) fecero sì che quel giorno, un sabato qualsiasi, il suo cuore si fermò. È probabile che fosse durante il sonno, un pisolino, apparentemente non soffrì. Juliette Gréco, sua amica (Serge scrisse per lei la «Javanaise» dopo una notte a bere champagne insieme e forse a fare altro, nel 1963), lo ricordava così: «Aveva tutto, a parte la felicità. Era incapace di gioire di quel tutto». 

Lo ritrovarono inerte a casa sua, al 5 bis di rue Verneuil, rive gauche parigina. Era la sua casa (un «hotel particulier»: un piccolo palazzo antico, vecchie scuderie), che aveva comprato nel 1968. Quell’anno viveva la sua love story (breve e intensa) con Brigitte Bardot e insieme andarono a visitare una casa in vendita. Appena vide BB, l’agente immobiliare disse subito di sì, «è vostra». Nella mente di Serge doveva diventare il loro covo d’amore, ma Brigitte andò a girare un film in Spagna. Suo marito, Gunter Sachs, ricco uomo d’affari tedesco, la raggiunse sul set e la riconquistò. L’attrice al 5 bis di rue Verneuil non ci ritornò più. Ma Serge vi si trasferì più tardi con Jane Birkin, giovane attrice inglese, conosciuta ancora sul set di un film e ancora in quel mitico 1968. Lei e Gainsbourg erano i protagonisti di «Slogan». All’inizio delle riprese non si sopportavano. Ma Jane divenne la donna della sua vita (un’altra bellissima, una rivincita per Serge, che si definiva «il cantante più brutto del mondo» e che per il suo naso aquilino e le orecchie a sventola agli inizi non riusciva a sfondare). 

Nel 1973 nacque Charlotte Gainsbourg, la loro unica figlia. Che non aveva mai voluto parlare del padre e che è l’erede della casa di Gainsbourg, dalla sua morte rimasta intatta, perfino con i posacenere pieni di mozziconi. Charlotte in questi giorni ha deciso di ricordare il papà e ha appena annunciato che sta sistemando la casa, perché venga trasformata in museo. Ha acquisito un garage di fronte, dove fare una biglietteria. Oggi a Parigi ci si chiede come sarebbe stato nell’epoca del MeToo un personaggio come lui, che, quando voleva, sapeva trattare male le donne (dopo 12 anni di vita assieme, forse l’unica fase di serenità per Serge, Jane fuggì via, perché non sopportava più quelle notti interminabili a bere nei locali alla moda di Parigi, ma anche perché lui aveva cominciato a picchiarla, quando era ubriaco e succedeva sempre più spesso). Senza contare che, negli ultimi anni della sua vita, ebbe pure una relazione con una sedicenne.

 

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