Uno spaccato che va dal 1925 agli anni Cinquanta. Cesare Garboli scrisse che si entra nel libro <<a quattro zampe, con gli occhi ancora ciechi dei gattini>> per essere poi messi di fronte alle prepotenze del regime, alla tempesta della guerra e delle persecvuzioni razziali.
Dieci anni dopo, con il romanzo epistolare Caro Michele, la scena è cambiata: c'è stato il '68, il lessico è ridotto a una comunicazione piatta, reticente. Le parole dividono i personaggi che ruotano attorno a Michele, ventenne della ricca borghesia romana su cui soffiano i venti rivoluzionari degli anni Settanta, e la sua famiglia sfilacciata che Natalia Ginzburg racconta con un misto di pena e paura. Le lettere sono l'ultimo cordone che lega un figlio in fuga da tutto e una madre che per lui prova un rancore sordo ma da cui non riesce a staccarsi.
E' ancora famiglia dieci anni dopo: nel 1983 la ricostruzione meticolosa, attraverso documenti, lettere, testimonianze di La famiglia Manzoni, mette fuori dal centro la figura dell'autore dei Promessi Sposi incrociandola con congiunti e protagonisti dell'epoca, da Cesare Beccaria, a Monti, Foscolo, d'Azeglio. <<Non volevo che fosse visto di profilo e di scorcio, e mescolato in mezzo agli altri, confuso nel polverio della vita giornaliera. E tuttavia egli domina la scena; è il capo-famiglia; e gli altri certo non hanno la sua grandezza>> spiega nell'introduzione. Non un romanzo, non un saggio, ma una narrazione ibrida e originale che alcuni critici, come Giovanni Raboni, considerano la sua opera migliore.
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