La questione <<umanitaria>> è importante, come negarlo, in un'epoca segnata dai movimenti di massa? Davanti alle tragedie dell'immigrazione, ci si divide tra indifferenti e sospettosi (<<perchè dobbiamo aiutarli proprio noi?>>) da una parte e coloro che sono inclini all'accoglienza dall'altra. L'empatia, per fortuna abita ancora in questo mondo. Tuttavia Coltivare l'umanità richiede un preliminare interesse verso gli altro che sembra mancare quasi del tutto in quest'epoca di fine dell'umanità. <<Inter-esse>> nel significato etimologico di <<stare tra>>, di mettersi in prospettiva, tra <<noi>> e <<gli altri>>. A chi interessano oggi i sistemi di parentela tra nazioni, la vivacità di oltre mille lingue parlate, i tuali redistributivi o le cosmologie delle società amazzoniche? A chi interessano le abitudini alimentari o le relazioni di scherzo di una comunità di migranti in una città italiana? Non mi riferisco tanto agli studi specialistici, bensì al loro impatto sociale. Quanto poco la visione di Lèvi-Strauss è diventata progetto pubblico? E quanto si è indebolito, almeno nella rappresentazione collettiva, l'interesse per le questioni umanistiche in generale.
In foto: “I Romani scelsero come loro eroe fondatore uno straniero. Enea fugge dalle rovine di una città in fiamme portando con sé un vecchio e un bambino; ci sono emigranti che partono mettendosi in tasca un pugno della loro terra natale: Enea partì portandosi dietro i Penati, che rappresentano la memoria della sua gente. Non sa dove andrà, ma sa che da qualche parte c’è una terra che lo aspetta.” —Giulio Guidorizzi, Lectio.
#art Federico Barocci, 1598
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