venerdì 27 ottobre 2023

Recensione «Il sogno» di Franck Thilliez - Fazi

 

Recensione «Il sogno» di Franck Thilliez - Fazi


Sogno e realtà, memoria e oblio, su questo filo si muove il nuovo romanzo di Franck Thilliez, Il sogno, il secondo di questo autore francese che ho avuto la fortuna di tradurre per Fazi. Dopo Il manoscritto, un’altra costruzione geometricamente complessa in cui la suspense continua a crescere fino a un finale rivelatore dove ogni tessera del puzzle trova il suo posto facendo vacillare ogni certezza. Per chi legge, l’orizzonte di aspettative continua a spostarsi, rimodularsi in un tentativo spesso vano di capire cosa sta realmente accadendo in un sistema di cui si percepisce, come un filo teso per quanto invisibile, la coerenza interna.

Trascorrere mesi su un libro come questo significa penetrare nella psiche e nei meccanismi mentali dei personaggi. Significa studiare e scoprire cosa sia la narcolessia al di là delle nozioni di base più comuni e diffuse. Per me ha significato indagare e scoprire i mostri che popolano il sonno e gli abissi della nostra mente. Abigaël è un personaggio indimenticabile, capace di affrontare la propria malattia senza farsi schiacciare, figlia e madre allo stesso tempo, grumo di dolore e mente investigativa. Buoni e cattivi vengono dallo stesso luogo, e hanno in comune più di quanto non credano. È un romanzo pieno di bivi, di sliding doors più o meno esplicite dove ogni passo implica una sequenza di eventi futuri ed è allo stesso tempo frutto di un passato da scandagliare fino in profondità.

Tornano tanti ingredienti cari al nostro scrittore, dalle ambientazioni nel Nord della Francia, dalla città di Lille alla Bretagna. Ancora una volta gli scenari scelti da Thilliez sono insoliti, lontani dalla Francia delle cartoline: ci sono ex scuole, ex fabbriche, ex manicomi provvisoriamente tramutati in caserme, obitori. Ci sono paesaggi industriali e boschi, spiagge battute dal vento e case isolate, quartieri e città che non siamo soliti frequentare nella letteratura. Parigi c’è, ma sembra così lontana e apparirà solo fugacemente; la capitale è, per una volta, ai confini.

Poi c’è il grande tema della della memoria, chi ha letto Il manoscritto ricorderà l’amnesia di uno dei protagonisti. Chi siamo se non ciò che ricordiamo? E cosa succede se la nostra memoria comincia a tradirci per colpa di un farmaco che però ci permette di vivere? È un compromesso che possiamo accettare? Possiamo vivere cercando di lasciarci alle spalle le tracce per ricostruirci, un giorno, quando un buco nero divorerà la nostra memoria?

C’è il rapimento, la scomparsa. Come si può vivere senza sapere cosa ne è stato dei propri figli? E cosa si è disposti a fare per riaverli? Ancora una volta l’innocenza, la vita che sta per sbocciare diventa il bersaglio del mostro a cui dare la caccia. Una caccia fisica, sul campo, e psicologica, nei meandri della mente.

E a dare la caccia al mostro c’è di nuovo una donna che vuole capire e sapere, che non si rassegna anche di fronte a tutte le risposte, che combatte senza sosta e senza rassegnazione. Difficile non amarla, non sentirci come lei, spesso disorientati, spaventati, confusi, in balia di un corpo e una mente capaci di tradirci nei momenti clou, costringendoci ogni volta a ricominciare, ricostruire, riorientarci.

C’è la letteratura, c’è il romanzo che porta alla verità. Se ne Il manoscritto questo appare fin dal titolo, in questo caso bisognerà aspettare un po’ di più, ma la presenza della letteratura noir non sarà meno importante, inquietante, affascinante.

E poi c’è la costruzione per salti temporali. Thilliez non ci racconta ciò che accade seguendo la scansione cronologica, che ci rivela solo in fondo al libro. E fidatevi di chi questo romanzo tra prima e dopo la traduzione l’ha letto e riletto più volte, una volta arrivati alla fine vale davvero la pena riprenderlo in mano dall’inizio, anzi da metà, e rileggerlo secondo l’ordine diacronico degli eventi per scoprire tanti piccoli dettagli di cui il libro è disseminato, per scoprire quando e dove e come ci siamo lasciati ingannare, quando avremmo potuto capire.

Ecco perché recensire Il sogno, lavorarci per mesi è stato appassionante ed emozionante, perché la suspense e la tensione si ripetono a ogni rilettura, ogni approfondimento, ogni riflessione. Il rischio di smarrirsi è sempre dietro l’angolo e bisogna restare ben saldi a una lingua come sempre essenziale, senza troppe concessioni a figure retoriche o elementi ornamentali. Quella di Thilliez si conferma innanzitutto una scrittura al servizio della storia dove i registri servono a guidarci nel labirinto. Ecco allora che il diario sarà diverso dalla riflessione personale e dal racconto in terza persona ed ecco che i dialoghi ancora una volta sono essenziali per, insieme, svelare i personaggi e sviluppare la trama. Nulla è lasciato al caso o all’approssimazione e il linguaggio medico e psicanalitico è stato naturalmente verificato nella sua resa in italiano. Perché la penna di Thilliez è innanzitutto questo: precisa.

Un libro di 600 pagine in cui nulla è di troppo e tutto serve alle rivelazioni finali dove ogni domanda delle decine che ci poniamo durante la lettura trova una risposta. Un lavoro di costruzione di senso che è intrattenimento, certo, ma anche sfida intellettuale ed emotiva in una sorta di danza tra autore e lettore (e, concedetemi, traduttore) che può ripetersi in più combinazioni in un gioco a incastro semplicemente sorprendente.

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