Mi dicevo che il mio protagonista doveva farsi strada nella vita come avevo visto fare agli uomini nella realtà, che non doveva avere in tasca neppure uno scellino che non si fosse guadagnato da solo, che nessuna circostanza improvvisa l’avrebbe elevato d’un tratto alla ricchezza e a una posizione di prestigio, che in ogni caso si sarebbe guadagnato col sudore della fronte qualsiasi forma di sussistenza, che prima di trovare un posto in cui potersi riparare e riposare avrebbe dovuto scalare almeno a metà la collina delle avversità, e non avrebbe sposato una donna bella, ricca o di un certo rango. Avrebbe condiviso la sorte di Adamo in quanto figlio di Adamo: fatica per tutta la vita e una coppa di felicità misurata e composta.
Con gli anni, tuttavia, ho scoperto che gli editori non approvano affatto questo metodo, e preferiscono composizioni più fantasiose e poetiche, più affini a una ricca ed elaborata immaginazione, a un’inclinazione per il pathos, a sentimenti più teneri, elevati, spirituali… E finché uno scrittore non prova a misurarsi con un manoscritto di questo tipo, non potrà mai sapere quali riserve romanzesche e sentimentali si nascondono nel petto di chi non avrebbe mai sospettato celasse tali tesori. Gli uomini d’affari si dice prediligano la realtà, ma a conti fatti quest’idea si rivela spesso fallace: un’appassionata preferenza per ciò che è selvaggio, straordinario, eccitante, per l’insolito, il sorprendente e il tormento agita molte anime che in superficie appaiono calme e sobrie.
Stando così le cose, il lettore capirà che questo breve scritto, per aver raggiunto la forma di un libro stampato, deve aver vissuto diverse battaglie (come in effetti è stato), sebbene la battaglia peggiore e la prova più ardua siano ancora da venire, eppure si consola, governa la paura, s’appoggia al sostegno delle aspettative misurate e sussurra, alzando l’occhio verso quello del pubblico: «Chi è in basso non tema di cadere».
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