Il naufragio di UlisseEinaudi
Il libro
Il canto di Ulisse, nell’Inferno dantesco, è probabilmente il testo piú celebre di tutta la letteratura italiana. E non solo, perché è proprio in questi versi che nasce l’immagine di Ulisse viaggiatore ed eroe della conoscenza. Impossibile, insomma, sottovalutare l’importanza e l’influenza di questa figura, nel corso dei secoli e ancora oggi. Eppure, tanto rimane da dire su quello che questi versi hanno da raccontarci, apparentemente cosí lontani e in realtà cosí vicini. Il viaggio e il naufragio di Ulisse sono una metafora potentissima per pensare la nostra condizione in questi tempi di crisi e incertezza. In fondo, tutto gira intorno a una tensione ineliminabile tra la conoscenza e la politica, come avrebbe visto Friedrich Nietzsche, un altro amante dei viaggi, reali e immaginari. Dove sono il bene e il male? Siamo convinti che la conoscenza salvi, aiutandoci a fare ordine nel nostro mondo. È davvero cosí?
Che si possa affrontare un tema ben conosciuto in modi innovativi e al tempo stesso anche letterariamente attraenti, è provato dal recentissimo saggio di Mauro Bonazzi, Il naufragio di Ulisse, Un viaggio nella nostra crisi (Einaudi). Come si sa, Ulisse che narra il suo <<ultimo viaggio>>, finito tragicamente ancorchè suscitato dalla sua altissima ansia di conoscenza, è protagnista, monumentale e ammirato, del XXVI canto dell'Inferno dantesco. La sua cifra è: non foste <<fatti a viver come bruti>>, il fine stesso dell'esistenza e la <<canoscenza>>. Il fatto che un cenno, non certo marginale, al <<volo>>, cioè al viaggio audace di Ulisse, appaia anche in un punto assai rilevante del Paradiso (XXVII, 82-83) sta a significare la centralità della vicenda di Ulisse, reinventata da Dante, nell'economia strutturale e concettuale del poema. Bonazzi approda a una sintesi efficace: i due <<viaggi>>, quello di Ulisse che, nonostante le nobili premesse, sfocia nella sconfitta, e quello di dante, che approda alla presa d'atto che a conoscenza dovrà subordinarsi alla fede (è la lezione di Virgilio già nel II del Purgatorio e poi di beatrice), sono due viaggi aralleli, dell'esito opposto. A sua volta questa presentazione di uno dei fili conduttori del poema serve a Bonazzi come metafora problematica dell'oggi. Non è un invito a ripiegamenti fideistici, è, piuttosto una domanda che investe l'efficacia, o solo parziale efficacia, o addirittura impotenza della <<conoscenza>> al cospetto dei problemi civili o politici del nostro tempo (ma forse si dovrebbe dire: di ogni tempo). La scena fantascientifica con cui il libro si conclude, il gigantesco computer nel quale sono raccolte tutte le conoscenze umane e che, interrogato, si autodefinisce, <<dio>> mentre viene fulminato lo scienziato che vorrebbe spegnerlo, costituisce una conclusione aporetica (una intenzionale, non-conclusione) che, giustamente, prospetta la lettore la pari dignità dei due viaggi: quello di Ulisse e quello di Dante.
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